La matita copiativa non esisterebbe se prima non fosse stata inventata la matita in grafite.
La matita, così come la conosciamo oggi, venne ideata nella seconda metà del XVI secolo, dopo la scoperta, nel nord dell’Inghilterra, di miniere di grafite pura e solida, un minerale che si trova in uno stato allotropico del carbonio.
L’attuale conformazione della matita, pensata appositamente per non sporcarsi le mani durante l’utilizzo, risale al 1560-1570 e venne attribuita a due italiani, Lyndiana e Simonio Bernacotti.
Fu solo nel XVIII secolo che in una fabbrica di Norimberga, in Germania, venne ideato un processo di fabbricazione industriale; successivamente, nel 1975, Nicholas Jacques Conté progettò un modo per regolare la durezza della mina grazie all’utilizzo di differenti formulazioni. Miscelò infatti la polvere di grafite con l’argilla, e da quel momento si iniziarono a produrre matite con una mina più morbida o dura proprio a seconda della quantità di argilla utilizzata.
Le matite sono piccoli oggetti tubolari con un’anima in grafite inserita in un profilo cilindrico o esagonale di legno, tipicamente in pioppo.
Ma grazie a quali caratteristiche chimiche la grafite può lasciare un segno su un foglio?
La grafite è un minerale disponibile in natura, e oggi viene anche sintetizzato grazie a un processo chiamato “grafitazione”. Forma allotropica del carbonio, si può immaginare come un reticolo composto da più piani sovrapposti collegati tra loro da legami chimici deboli. Proprio durante la scrittura, cioè nel momento dello sfregamento su un foglio di carta, questi legami deboli si rompono, rilasciando così sul foglio di carta una traccia carboniosa.
Le matite copiative, a differenza di quelle in grafite, sono sempre bastoncini in legno ma con un’anima varia. All’interno del loro nucleo, infatti, non c’è solo la grafite, ma anche altri materiali come l’argilla, tipicamente il caolino, e i coloranti, una tintura di anilina. Nello specifico, tra i coloranti idrosolubili, si potrebbe scegliere tra il violetto di metile, il violetto cristallino, la rodamina, la fucsina, la crisoidina, la safranina, l’auramina, il blu di metilene, il verde malachite e il bruno bismark.
Le proporzioni specifiche di questi coloranti variano a seconda del produttore e del colore che si vuole ottenere: generalmente in una percentuale che varia da meno del 25% a circa il 50%. In alcune ricette sono inclusi un mordente come l’allumina e ulteriori componenti leganti come destrina, gomma tragacanth, albume o cera.
Proprio per questo, nel momento in cui la matita copiativa viene utilizzata sul foglio, non solo viene rilasciata una traccia carboniosa della grafite, ma anche del colorante. Il risultato è una matita più morbida, ma con un tratto distinguibile e profondo.
Numerose sono le fake news che si sono alternate, nel corso degli anni, sulla matita copiativa: dal poter essere cancellabile con la gomma, al dover essere umettata con la saliva per diventare “magicamente” indelebile. Fortunatamente la chimica ci viene come sempre in aiuto per rispondere a ogni eventuale dubbio!
Mentre la traccia carboniosa della matita può essere cancellata o eliminata per abrasione, i pigmenti colorati vengono assorbiti dal foglio stesso e risultano, di conseguenza, di difficile cancellazione con una semplice gomma. I coloranti idrosolubili, per di più, potrebbero essere eliminati solo con l’utilizzo di acqua, che però lascerebbe una macchia indelebile provando senza alcun dubbio l’avvenuta manomissione della scheda elettorale.
Quanta chimica dietro a un oggetto apparentemente così semplice! E voi, immaginavate che anche votare fosse questione di chimica?