Forse non sai

Che bellezza!

La chimica del vino: un mondo dentro al nostro bicchiere

3 ottobre 2022

Cosa c’è di più bello di quattro chiacchiere con gli amici davanti a un bicchiere di vino?

 

I film ci hanno abituato, negli anni, a immaginare la vendemmia come un momento magico: come, ad esempio, nelle bellissime scene del film “Il profumo del mosto selvatico”. Convivialità, festa e divertimento e sullo sfondo colori caldi, profumi avvolgenti e risate gioiose.

 

E se vi dicessimo che anche un buon vino è una questione di chimica? Dai lieviti agli enzimi, dagli attivanti ai batteri, c’è un mondo dentro il nostro bicchiere. Scopriamolo insieme!


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La chimica del vino: un mondo dentro al nostro bicchiere





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Una storia lunga secoli

La storia del vino nasce da molto lontano, tra spezie e miele, lungo il corso dei grandi fiumi, Tigri, Eufrate e Nilo. Il vino, così come lo conosciamo oggi, lo ritroviamo sin dall’antica Grecia, dove era il principale protagonista di festeggiamenti e trionfi. Da qui, lungo e arzigogolato fu il suo viaggio, dalla Siria alla Spagna, dall’Egitto alle coste francesi, fino ad arrivare in Sicilia.

 

Quando la civiltà greca decadde, il testimone della vitivinicoltura venne consegnato all’antica Roma: ne cantavano le lodi poeti e scrittori, raccontandone i colori, i sapori e i profumi. Furono però i monaci Benedettini e Cistercensi a studiarne i processi fermentativi.

 

È solo nel XVII secolo che si iniziò a imbottigliare nel vetro, mentre nel secolo successivo venne introdotto il tappo di sughero. La vera “rivoluzione enologica”, però, ebbe inizio nell’800 con Louis Pasteur.

Prima fu acino, poi nettare degli dèi

Dopo secoli di produzione, la storia dell’enologia moderna comincia proprio grazie agli studi sui lieviti di Louis Pasteur. Fu infatti il chimico e microbiologo francese a scoprire che la trasformazione del mosto in vino è da imputare ai lieviti, piccole cellule che fermentano gli zuccheri, come il glucosio e il fruttosio, in alcol etilico, in anidride carbonica e in diversi prodotti secondari.

 

La fermentazione, a differenza di quanto si potrebbe immaginare, è un processo estremamente complesso in quanto risultato di oltre trenta reazioni consecutive, provocate appunto dagli enzimi dei lieviti. In enologia, così come nella lievitazione del pane e nella fermentazione della birra, il tipo di lievito più comune è il Saccharomyces cerevisiae.

 

Ma scopriamo più da vicino questo processo! Mentre nelle fasi iniziali i lieviti svolgono una respirazione aerobica utilizzando l’ossigeno presente nel mosto e trasformando gli zuccheri in acqua e anidride carbonica, la fermentazione vera e propria prende vita in condizioni anaerobiche. In questo momento, esaurendosi l’ossigeno, i lieviti producono energia attraverso l’ossidazione degli zuccheri, trasformandoli in alcol etilico, anidride carbonica e altri prodotti secondari o sottoprodotti, che svolgono un ruolo essenziale nelle qualità gustative e aromatiche del vino. Acetaldeide, acetato d’etile, acido acetico, glicerolo e altri tipi di alcol sono infatti essenziali allo sviluppo delle qualità aromatiche di ogni vino e gli aromi possono affinarsi oppure deteriorarsi.

Una festa in un bicchiere

La fermentazione è come una grande festa alla quale partecipano tanti protagonisti, ciascuno con un proprio contributo significativo ai fini della riuscita. Lieviti, enzimi, attivanti, batteri…mettetevi comodi, ve li presentiamo tutti!

 

Dunque, il primo passo per ottenere un vino di qualità è una fermentazione ottimale, che si può ottenere solo conoscendo a fondo le caratteristiche dei singoli ceppi di lieviti e le loro esigenze nutrizionali. Ma come si gestisce al meglio la fermentazione alcolica? Grazie a un’ampia gamma di attivanti, che permettono di ottenere una migliore qualità organolettica del vino.

 

Ci sono poi gli enzimi, catalizzatori biologici presenti in tutti gli organismi viventi, che, grazie ai loro ruoli specifici, operano per raggiungere precisi obiettivi. Sono essenziali per migliorare la resa di pressatura, la chiarifica, la flottazione, ma anche la filtrabilità, l’estrazione di aromi e polifenoli, il gusto, l’espressione aromatica del vino, la stabilità proteica e anche della sostanza colorante, naturalmente presente negli acini d’uva.

 

Vediamo nello specifico la chiarifica. Processo cruciale di vinificazione, la chiarifica ha come scopo il miglioramento della limpidezza e delle caratteristiche organolettiche del vino, che, per essere più limpido, oltre a essere centrifugato e filtrato, deve essere privato dalle sostanze responsabili dell’instabilità e del disequilibrio organolettico. Tutto ciò avviene grazie ai chiarificanti.

 

Per mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche del vino fino al momento del consumo vengono utilizzati gli stabilizzanti, che prevengono ogni tipo di intorbidamento e di ‘precipitato’.

 

Infine, non dimentichiamoci i tannini, che servono a determinare il sapore del vino, e i polisaccaridi, che ne aumentano la stabilità e la qualità. I batteri malolattici, invece, riducono le note erbacee, esaltando l’aroma fruttato e aumentando la complessità aromatica con un miglioramento dell’equilibrio e della struttura del vino.

 

E voi, avevate mai pensato a come anche un brindisi fosse questione di chimica?