La ricerca degli elementi mancanti, predetti da Dmitrij Mendeleev nella sua Tavola Periodica, fu particolarmente intensa tra il 1869 e il 1891, soprattutto dopo la scoperta del Gallio, dello Scandio e del Germanio tra il 1875 e il 1886. La scoperta di questi elementi fu facilitata dalla previsione di Mendeleev e dalla descrizione particolarmente accurata delle proprietà di questi elementi, che chiamò eka-boro, eka-alluminio ed eka-silicio. Tra le tante chimiche e chimici che collaborarono alla realizzazione di questo incredibile e affascinante puzzle, anche la scienziata Ida Noddack diede un importantissimo contributo.
Dopo la laurea e il dottorato in chimica organica al Politecnico di Berlino nel 1921, Ida Tacke (questo il suo cognome da nubile) fu la prima donna assunta come chimica nell’industria tedesca. Intorno al 1924 iniziò la carriera da ricercatrice in un laboratorio di Berlino affiancando il chimico Walter Noddack, che diventò poi suo marito e da cui prese il cognome.
Ida e il marito si amarono molto, ma l’elemento fondante del loro rapporto fu sempre la fiducia: collaborarono in tante ricerche e pubblicarono insieme molti articoli, in un tempo in cui alle donne – nella maggior parte dei casi – non era neppure permesso entrare in laboratorio, tantomeno gestire progetti di ricerca.
Nel 1925, con l’aiuto di Otto Berg, uno specialista di raggi X presso la Siemens-Halske di Berlino, Tacke e Noddack identificarono spettroscopicamente un nuovo elemento con numero atomico 75 che, in onore delle origini di lei – proveniva dalla Renania – chiamarono Renio.
A questo risultato arrivarono dopo numerosi tentativi di bombardamento di minerali del platino e della columbite norvegese per mezzo di elettroni. Queste particelle, infatti, andando a collidere con i nuclei atomici dell’elemento in questione, emettono raggi X grazie ai quali è possibile risalire al numero atomico dell’elemento.
Per la scoperta del Renio, lei e i suoi collaboratori vennero candidati al Premio Nobel per la Chimica numerose volte, senza mai vincerlo. Grazie a questo risultato le fu però conferita la Medaglia Liebig.
I Noddack individuarono per qualche ora anche, il Masurio, ma non riuscirono mai a isolarlo per il suo rapido tempo di decadimento. Continuarono a sostenere le conclusioni alle quali i loro studi li avevano condotti, ma la comunità scientifica non li riconobbe mai come scopritori del nuovo elemento.
Fu solo nel 1937 che il mineralogista italiano Carlo Perrier e il fisico americano di origine italiana Emilio Segrè individuarono il Tecnezio – prima denominato Masurio – in un ciclotrone, acceleratore di particelle atomiche o subatomiche.
Proprio per la necessità di utilizzare un ciclotrone per identificare il Tecnezio, si ritenne improbabile che i Noddack avessero effettivamente scoperto l’elemento con numero atomico 43.
Intorno al 1934 Enrico Fermi dichiarò di poter ottenere elementi transuranici, con numero atomico maggiore di quello dell’Uranio, bombardando quest’ultimo con neutroni.
Ida Noddack si rese invece conto che, bombardando con neutroni l’Uranio, si sarebbero formati elementi con numero atomico minore rispetto all’atomo bombardato e non maggiore.
La sua intuizione è oggi conosciuta come fissione nucleare.
Eppure, la sua teoria venne completamente ignorata dalla comunità scientifica, probabilmente perché non in linea con la fisica e il pensiero scientifico di quel periodo, allineato alle idee di Enrico Fermi.
Ida Noddack avrebbe certamente meritato il Nobel: la sua idea ante litteram sulla fissione nucleare valse però il prestigioso Premio ad Otto Hahn che, insieme a Lise Meitner – altro Nobel negato – realizzò il processo che portò alla realizzazione della bomba atomica.