“’La scienza ha anche conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui la facciamo’. Questa è una battuta attribuita a Richard Feynman, uno dei più grandi fisici del secolo scorso. Questa frase, insieme al canonico imperativo dantesco “Fatti non forse per viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza” riflette molto bene le pressioni soggettive degli scienziati. La scienza è un enorme puzzle e ogni pezzo che viene messo nel posto giusto apre la possibilità di collocarne altri. In questo gigantesco mosaico, ogni scienziato aggiunge delle piccole tessere, con la consapevolezza di aver dato il suo contributo, e che, quando il suo nome sarà dimenticato, coloro che verranno dopo si arrampicheranno anche sulle sue spalle per vedere più lontano.
Non è pensabile lo sviluppo tecnologico senza un parallelo avanzamento della scienza pura. Come era stato ben evidenziato ne “L’Ape e l’Architetto” (1976), la scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali), ma ha anche un ruolo più nascosto e non meno importante. Infatti, le attività scientifiche di base funzionano anche come un gigantesco circuito di collaudo di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia avanzata.
Questa profonda integrazione tra scienza e tecnica potrebbe far pensare che la scienza abbia un futuro radioso in una società che diventa sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata […]. In realtà oggi sembra vero tutto il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocemente. Insieme a un vorace consumismo tecnologico si diffondono largamente le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche (vedi per esempio NoVax) e sta per essere riconosciuta da una legge dello stato italiano una pratica francamente stregonesca come l’agricoltura biodinamica, dove piccole quantità di letame vengono fatte maturare dentro le corna di vacche che hanno avuto almeno un figlio (l’indispensabile cornoletame).
La scienza è a volte sentita come una cattiva maestra che ci ha portato nella direzione sbagliata e cambiare questa percezione non è facile.
C’è una grande insoddisfazione verso tutti coloro che sono responsabili di questa situazione e gli scienziati non sfuggono a questo biasimo.
Bisogna difendere la cultura italiana su tutti i fronti, dobbiamo evitare di perdere la nostra capacità di trasmetterla alle nuove generazioni. Se gli italiani perdono la loro cultura cosa resta del Paese? Bisogna costituire un fronte comune di tutti gli operatori culturali italiani (dagli insegnanti degli asili alle Accademie, dai programmatori ai poeti) per affrontare e risolvere l’attuale emergenza culturale.
La scienza deve essere difesa non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale. Dovremmo avere il coraggio di prendere esempio da Robert Wilson, che nel 1969 di fronte ad un senatore americano che insistentemente chiedeva quali fossero le applicazioni della costruzione dell’acceleratore al Fermilab, vicino Chicago, in particolare se fosse utile militarmente per difendere il paese, gli risponde “il suo valore sta nell’amore per la cultura: è come la pittura, la scultura, la poesia, come tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri; non serve per difendere il nostro paese ma fa che valga la pena difendere il nostro paese”.
Per affermare la scienza come cultura, bisogna rendere la popolazione (almeno quella colta) consapevole di cosa è la scienza, di come la scienza e la cultura si intreccino l’una con l’altra, sia nel loro sviluppo storico sia nella pratica dei nostri giorni. Bisogna spiegare in maniera non magica cosa fanno gli scienziati viventi, quali sono le sfide dei nostri giorni. Non è facile, specialmente per le scienze dure dove la matematica gioca un ruolo essenziale; ma, con un certo sforzo si possono ottenere ottimi risultati.
Ai giorni d’oggi uno dei compiti fondamentali delle università è fornire una riflessione integrata su dove stia andando la scienza, le varie discipline che la compongono, comprese naturalmente quelle umanistiche e sociali. Bisogna soffermarsi sui rapporti reciproci tra scienza e società, su come il progresso scientifico influenzi, nel bene e nel male, la nostra vita e su come le esigenze della società condizionino lo sviluppo delle tecnologie e in ultima analisi della ricerca scientifica. Questi rapporti non sono diretti, ma passano attraverso tantissime istituzioni, politiche ed economiche e non ultime quelle di comunicazione, in particolare i mass media. La cultura influenza ed è influenzata da queste interazioni che vanno ben al di là dei confini delle singole discipline, tutte condizionate dallo Zeitgeist, dallo spirito dell’epoca. […] Non dobbiamo limitarci alla semplice comprensione dei fenomeni, ma dobbiamo essere protagonisti coscienti di questi processi per poter indicare, sulla base delle conoscenze scientifiche, quali direzioni di sviluppo ritengano le più sagge e, in caso di dubbi, quali siano i vantaggi e svantaggi delle varie soluzioni.
Molte persone sono rimaste sconcertate dal vedere scienziati illustri accapigliarsi con la stessa veemenza che potrebbero avere esponenti politici di partiti diversi. Questo stupore è dovuto anche a una incomprensione del meccanismo con cui si forma il consenso scientifico. Quando si verifica un fatto nuovo, scienziati diversi propongono interpretazioni diverse. Procedendo lentamente, provando e riprovando come diceva il grande Linceo Galileo Galilei, aumentando le conoscenze con nuovi dati, con nuovi esperimenti, si forma lentamente un consenso attorno a una delle interpretazioni proposte. In certi casi estremi è stato un procedimento molto lento: Max Planck ha scritto che le nuove idee si affermano non perché gli oppositori si convincono, ma perché gli oppositori muoiono e lasciano lo spazio ai sostenitori delle nuove idee.
In un tempo in cui la scienza televisiva sembra indecisa, con grande scandalo del pubblico, il nostro ruolo diventa sempre più importante sia per arrivare il più velocemente possibile a un consenso nella comunità scientifica, sia per diffondere al pubblico i risultati su cui si è raggiunto il consenso.
Abbiamo il dovere di promuovere una cultura basata sui fatti ed impedire che si diffonda una pseudoscienza che possa indurre a scelte sbagliate.
Non basta capire, trovare la strada, ma bisogna anche riuscire a comunicare, a spiegare non solo i risultati ma anche la metodologia seguita, per poter essere convincenti in maniera duratura. Non è facile farlo, ma è possibile farlo. Basta guardarsi intorno per capire che quello che si fa non basta.
Bisogna fare di più, molto di più, e se non lo faremo, non potremo sfuggire alle nostre responsabilità.”
Giorgio Parisi,
Fisico e accademico italiano, premio Nobel 2021 per la Fisica