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Bufala del mese

Una catastrofe e le sue leggende: la Xylella

18 settembre 2023

Può una bufala radicarsi così profondamente da surclassare la stessa scienza e portare ad un disastro ambientale? È uno scenario catastrofico, che però, purtroppo, talvolta si verifica. Tra vari esempi uno in particolare ci ha colpito e ci sta colpendo molto da vicino: le bufale sulla Xylella.


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Una catastrofe e le sue leggende: la Xylella





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L’INIZIO DEL DISASTRO

La storia cominciò in Puglia nel 2013, quando si registrò un massiccio aumento del cosiddetto Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO) negli ulivi, i quali, appunto, si seccavano e morivano rapidamente. Ci vollero tempo e ricerche per identificare la causa, ma alla fine l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (ISPS) del CNR e i ricercatori dell’Università di Bari riuscirono a identificare il colpevole: la Xylella fastidiosa, un patogeno molto diffuso nelle Americhe ma ancora mai comparso in Europa. Ciò che rende questo batterio particolarmente pericoloso, oltre ai notevoli danni riportati sulle piante, è l’assenza di una cura. L’unico modo per limitarne la diffusione è eliminare gli alberi infetti e affidarsi agli agrofarmaci per tenere lontani gli insetti vettori del batterio.

 

Accettare che una delle principali peculiarità della Regione – di enorme importanza dal punto di vista paesaggistico, culturale e naturalmente anche economico – potesse venire colpita irreparabilmente da una malattia incurabile non è certo una cosa facile; ecco che, come spesso accade quando si parla di bufale, si sono diffusi teorie e complotti di diversa portata. Nonostante gli studi e le pubblicazioni scientifiche avessero dato ragione agli scienziati italiani e la mobilitazione di Istituzioni internazionali come l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) le fake news dilagarono, certo non in modo indolore.

LA CORRIDA DEL SURREALE

Le bufale che cominciarono a circolare sulla Xylella andavano ben oltre la semplice negazione della sua esistenza, tirando in ballo cospirazioni a livello internazionale. Alcuni hanno sostenuto che la Xylella fosse stata creata in laboratorio o semplicemente inventata e usata come pretesto per un utilizzo massiccio di “pesticidi”. In entrambi i casi, la finalità sarebbe stata l’eliminazione totale degli alberi, così da avere terreno libero per lo sfruttamento edilizio o altre fantasiose e peregrine illazioni che teorizzavano un recondito interesse di danneggiare il made in Italy.

 

Altri, pur riconoscendo l’esistenza della malattia, hanno cercato ogni alternativa possibile alla tesi dei ricercatori, sostenendo che la causa di tutto non fosse il batterio. Sono anche comparsi, in effetti, dati statistici discordanti che mostravano come nei territori monitorati la Xylella fosse presente in percentuali minime. Ciò avrebbe dimostrato come la causa della malattia fosse ben altro ma si tratta, in realtà, di un’errata comprensione dei dati. Questi monitoraggi non riguardavano, infatti, i territori interessati dalla malattia ma quelli lontani da essa, con l’obiettivo di calcolare l’estensione dell’area dell’infezione. Ed ecco che anche una minima percentuale può diventare preoccupante poiché segnala l’avanzamento della malattia e l’inefficacia del contenimento.

 

Altri ancora si sono limitati a sostenere che le cause fossero altre, dall’inquinamento ai funghi fino alle temperature, senza però il supporto di prove scientifiche valide.

 

Queste teorie si diffusero a macchia d’olio, col tragico risultato, in alcune zone, di causare il blocco degli abbattimenti, fatalmente favorendo la diffusione della malattia.

 

Ad aggravare ulteriormente la situazione, nel 2015, furono gli stessi scienziati a finire sotto indagine, accusati di aver colposamente diffuso il batterio durante i loro studi. Alcuni campioni del batterio erano, infatti, stati importati a scopo di ricerca; si trattava di un ceppo diverso da quello identificato nelle piante ma ciononostante si dovette aspettare il 2019 per vedere il caso archiviato definitivamente. Gli scienziati che avevano trovato il batterio e si erano battuti per limitarne la diffusione finirono al centro delle polemiche, mentre la malattia dilagava sotto l’inconsapevole ma tremendamente efficace protezione delle fake news.

LA TRISTE VERITÀ

Ma allora questo batterio esiste davvero? Come agisce? Come si ferma?

 

Il batterio può infettare un elevato numero di piante e per farlo ha bisogno di un vettore che lo trasporti. In questo caso il vettore che infetta gli ulivi è il Philaenus spumarius, anche detta sputacchina, un insetto che si nutre della linfa ascendente dell’albero contenuta nei vasi xilematici. Così facendo può trasportare il batterio da una pianta infetta a una sana e quando ciò avviene esso si insedia nello xylema, l’insieme dei vasi che portano l’acqua dalle radici alle foglie, intasandoli. A quel punto è solo una questione di tempo, compaiono i primi segni di bruciature, le foglie cadono, i rami seccano e infine la pianta muore. Come già detto non vi è cura o soluzione se non quella di limitare la diffusione ed ecco perché, per quanto drammatico possa essere, le piante infette vanno rimosse e gli insetti vettori scacciati.

 

Nonostante le avvertenze degli scienziati e l’impegno dell’Unione europea per limitare i danni, ad oggi il batterio si è diffuso in altre zone d’Europa come Spagna, Francia e Portogallo, oltre che in altri territori nella nostra penisola. È difficile valutare quanto queste fake news abbiano aggravato la situazione, ma il fatto che nel 2019 la Corte di Giustizia europea abbia condannato l’Italia per inadempienza nel limitare il diffondersi della malattia è un segnale abbastanza indicativo di quanto la situazione sia sfuggita di mano, trascinata da ipotesi spesso infondate e dicerie invece che seguita dall’unica cosa che può salvarci da questi disastri: la ricerca scientifica.

Fonti: