Andiamo con ordine. La composizione chimica delle stelle non è stata sempre la stessa: quelle che per prime hanno illuminato il cosmo sono scomparse rapidamente, diventando delle supernove e arricchendo lo spazio con nuovi elementi, i quali hanno contribuito a dare all’Universo l’aspetto che ha oggi. Sono dunque sparite da tempo ma le loro tracce sono ancora presenti sottoforma di nubi di gas contenenti i residui delle loro esplosioni. Possiamo dunque comprendere di più sulle stelle primordiali studiando la composizione chimica dei loro resti.
Ma com’è possibile analizzare gli elementi chimici di una nube alla deriva negli angoli remoti dello spazio? La risposta è la luce dei quasar. Questi ultimi sono grandi sorgenti di luce, la quale, giungendo fino a noi, può passare attraverso diverse nubi di gas che lasciano un’impronta su di essa.
Quindi un telescopio può individuare le firme chimiche nello spettro della luce? Il VLT sì, grazie ad uno strumento chiamato X-shooter. Questo può scomporre la luce in una gamma incredibilmente ampia di colori, permettendo agli astronomi di individuare indirettamente la composizione chimica della nube che ha attraversato.
In questo caso i ricercatori hanno trovato, nello spettro di luce analizzato, una firma chimica che corrisponderebbe alla composizione delle stelle primordiali.
L’importanza di questa scoperta e l’utilità ormai comprovata di questi strumenti, sempre più presenti nei nuovi telescopi, potrebbe aprire le porte a nuove rivelazioni sull’origine dell’Universo e, anche in quel caso, dovremo ringraziare la chimica.