La ricetta del vin brûlé è millenaria e affonda le sue radici nell’antica Roma con il contidum paradoxum, un vino dolcificato con abbondante miele, scaldato a più riprese e aromatizzato con foglie di nardo, pepe, zafferano e datteri, che veniva offerto agli ospiti a fine pasto. Questa specialità ha attraversato secoli di storia, subendo – come sempre accade quando una ricetta resiste nel tempo –variazioni di ingredienti e modifiche a seconda delle zone di diffusione e delle epoche.
Nel Medioevo si consumava una sorta di antenato del vin brûlé, l’ipocras, vino arricchito con erbe officinali e consumato freddo, conosciuto anche come claret o piment.
Arricchire le bevande, soprattutto il vino, con spezie aromatizzanti era una pratica diffusa in tutta Europa: lo scopo era anche quello di coprire il sapore del vino, molto spesso di scarsa qualità e rancido a causa delle cattive condizioni di conservazione e di trasporto. Per cercare di migliorarne il gusto, gli svedesi inventarono un vino caldo speziato, il glögg, originariamente consumato durante i pasti.
È con il glögg svedese che il vino caldo inizia a essere associato al periodo natalizio.
Tutto cambia a fine Ottocento, quando i venditori di vino decidono di portare i loro prodotti fra i banchi dei mercati e le ricette, fino ad allora attentamente custodite da ogni produttore, iniziano a diffondersi per tutto il Paese.
Il tradizionale vino di Natale si diffonde, ben presto raggiungendo anche le aree più lontane. Con le dovute variazioni, naturalmente, a cominciare dalla tipologia di vino, la miscela di spezie, erbe aromatiche e frutta che conferisce il gusto caratteristico alla bevanda.
Fra le tante varianti non si può dimenticare il gluhwein tedesco, a base di vino rosso, cardamomo, chiodi di garofano, alloro, cannella e scorza di agrumi.
E in Italia? Anche nel nostro Paese la bevanda raccoglie fin da subito il favore di molti, che in questa versione aromatizzata e dolce trovano un’espressione più gustosa e meno impegnativa del vino rosso. È soprattutto in Trentino-Alto Adige, una regione dagli innumerevoli richiami alla cultura nordica, che il vin brûlé prende piede, divenendo il prodotto per eccellenza dei tantissimi mercatini sparsi per tutta la regione.
Quanta chimica si nasconde all’interno di questa bevanda dal sapore unico?
Il vin brûlé è una bevanda calda e tradizionalmente a base di vino rosso – dove certamente sono presenti le molecole di etanolo – arricchito come da tradizione con alcuni ingredienti caratteristici.
Non può mancare lo zucchero – o saccarosio – responsabile del sapore più o meno dolciastro della bevanda a seconda della quantità aggiunta, un po’ di cannella, che contiene cinnamaldeide, molecola dal tipico profumo piccantino e un po’ di noce moscata, che tra i vari oli essenziali contiene un composto chimico che si chiama miristicina.
Non finisce qui, perché il vin brûlé viene anche arricchito – tenendo il fuoco basso e girando di tanto in tanto – con scorze di limone o arancia, contenenti numerosi oli essenziali, tra cui il limonene, anice stellato (con acido shikimico), mela e qualche spicchio di mandarino.
Tra le diverse spezie utilizzate, ci sono i profumatissimi chiodi di garofano, il cui componente aromatico principale è l’eugenolo che ha formula chimica C10H12O2.
Tra tutti questi sapori, è bene non perdere di vista il tipo di vino da utilizzare elemento fondante il gusto finale di questa bevanda.
Dunque, auguri di un Natale dolce, inebriante e un po’ speziato con un brindisi al vin brûlé!
Fonti:
Un ringraziamento speciale a Marco Martinelli per l’ispirazione: video la chimica del Vin brûlé
Siete team pandoro o team panettone? anche qui è tutta una questione di chimica! Leggi l’articolo a riguardo.