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Chimica e tecnologia

Terapia fotodinamica: un matrimonio vincente tra luce e chimica

5 ottobre 2023

La terapia fotodinamica o PDT (Photo Dynamic Theraphy) è uno dei trattamenti terapeutici più innovativi e di successo per la cura non solo di diversi tipi di tumori, ma anche di diverse affezioni e disturbi di natura batterica e virale. Scopriamo insieme di cosa si tratta.


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Terapia fotodinamica: un matrimonio vincente tra luce e chimica





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E luce fu: storia di una terapia

Nome nomen, il prefisso “foto” indica come la luce sia una componente chiave di questa terapia che affonda le sue radici nell’antichità. L’effetto curativo della luce del sole, ben noto sia agli egizi che ad altre civiltà orientali, fu documentato per la prima volta da Erodoto – considerato ancora oggi il padre dell’elioterapia – che nel V secolo a. C. scrisse: “È stata riconosciuta da subito l’esposizione al sole come necessità naturale in virtù delle proprietà terapeutiche derivanti dalla luce solare.

 

Qualche anno più tardi, Ippocrate (460 a. C.) studiò a lungo le terapie utilizzate in Egitto per la cura della psoriasi e di altre malattie della pelle e, una volta tornato in Grecia, le applicò in maniera sistematica, gettando così le basi scientifiche per la moderna fototerapia.

 

Nel XVII e XIX secolo, in tutta Europa, si moltiplicarono i centri elioterapici, utilizzati per curare malattie come la tubercolosi, lo scorbuto e il rachitismo. Solo nel 1903 venne riconosciuta universalmente l’importanza della luce in medicina: Niels Finsen vinse il Premio Nobel per i suoi studi sull’uso della luce nei pazienti con lupus vulgaris, una forma di tubercolosi cutanea, e contro la formazione delle pustole del vaiolo.

 

Il termine terapia fotodinamica fu coniato però, per la prima volta, nel 1904 da due farmacologi tedeschi: Hermann von Tappeiner e Albert Jodlbauer. Grazie agli esperimenti condotti da un loro brillante studente – Oscar Raab – notarono come la luce avesse un effetto letale su alcuni microorganismi solo quando, nel liquido di coltura, era presente anche l’arancio di acridina, un colorante utilizzato in istologia. L’effetto combinato della luce e del colorante era di gran lunga superiore a quello ottenuto solo dalla luce, o solo dal colorante, dimostrando il responsabile della morte cellulare: un prodotto della reazione tra la luce e l’arancio di acridina, una forma molto reattiva dell’ossigeno, chiamata ossigeno di singoletto. Da qui il suffisso “dinamica”, aggiunto alle parole foto e terapia, per sottolineare la continua produzione, da parte della luce, di questa e di altre specie killer.

Come funziona la PDT

La PDT è una modalità terapeutica caratterizzata dall’utilizzo di sostanze colorate – dette fotosensibilizzatori (PS) – che, attivate da una specifica lunghezza d’onda, sono in grado di produrre forme dell’ossigeno e dei suoi derivati, che determinano la morte cellulare.

 

Il fotosensibilizzatore (PS) è quindi uno dei tre elementi chiave, assieme alla luce e alla presenza di ossigeno, di questa terapia. È importante sottolineare come solo l’azione combinata di queste tre componenti dia luogo a una serie di reazioni che portano alla formazione di specie molto reattive dell’ossigeno.

 

I PS maggiormente impiegati appartengono alla famiglia delle porfirine, una classe numerosissima di molecole di cui fanno parte molti pigmenti colorati che si trovano in natura e che sono biologicamente attivi negli organismi viventi. Tra questi troviamo la clorofilla, responsabile della colorazione verde delle foglie, e l’emoglobina, che determina il colore rosso del sangue ed è fondamentale per il trasporto dell’ossigeno e per la respirazione degli esseri viventi. I PS vengono applicati sulla zona da trattare sia come creme – nel caso di trattamento cutaneo – sia per iniezione o infusione, se si tratta di trattamenti su tessuti e organi interni.

 

Numerosi sono gli studi condotti per comprendere le correlazioni tra attività fotodinamica e proprietà chimico-fisiche e fotochimiche dei PS, portando a sintetizzare molecole via via più efficaci e sempre più selettive sulle cellule bersaglio del tessuto malato.

 

Un notevole sviluppo di questo tipo di terapia lo si deve anche all’utilizzo di sorgenti di luce sempre più flessibili e miniaturizzate, oltre che specifiche per i diversi PS. La possibilità di disporre di fibre ottiche, di luci LED, di laser a bassa potenza, ha permesso di aumentare sensibilmente la selettività di questo tipo di trattamento, portando la luce sin dentro i tessuti, nelle zone interstiziali, andando ad attivare il PS là dove veicolato, con l’intensità necessaria a garantire una produzione ottimale di ossigeno – di singoletto – e delle altre specie killer. Una luce a bassa intensità è inoltre utile a preservare il PS da un’eventuale fotodegradazione e a evitare anche il danneggiamento delle cellule sane e non trattate con il PS.

 

La velocità con cui avviene l’intero processo è il terzo fattore chiave: perché la terapia abbia successo l’ossigeno deve diffondere naturalmente all’interno dei tessuti e delle cellule. Tale requisito costituisce anche il limite di questo trattamento terapeutico che risulta inefficace nel caso siano presenti dense masse tumorali solide o nelle situazioni in cui il tessuto vascolare circostante il tumore sia necrotizzato.

Quali orizzonti per la terapia fotodinamica

Attualmente la PDT è una tra le terapie più promettenti, già ampiamente utilizzata in diversi ambiti come quello dermatologico, parodontale e nella cura di diversi tipi di tumore. Il fatto che sia mininvasiva e praticamente indolore la rende ben tollerabile alla maggior parte dei pazienti, oltre che facilmente accessibile grazie ai costi estremamente ridotti rispetto ad altri trattamenti.

 

L’unicità interdisciplinare della PDT ancora oggi è fonte d’ispirazione per fisici, chimici, biologi che lavorano continuamente per migliorare l’efficacia di questa terapia e per esplorare nuovi campi d’applicazione i cui limiti si estenderanno fin dove li porterà la loro immaginazione.

 

Molte grazie alla Professoressa associata di Chimica Generale e Inorganica Monica Panigati, Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano, che ci ha fornito il materiale per questo articolo. Da circa quindici anni si occupa della sintesi e della caratterizzazione di complessi polinucleari di Re(I) e di Mn(I) per applicazioni in dispositivi optoelettronici.

 

Fonti:

  • F. Algorri, M. Ochoa, P. Roldán-Varona, L. Rodríguez-Cobo, J. M. López-Higuera Photodynamic Therapy: A Compendium of Latest Reviews. Cancers 2021, 13, 4447.
  • H. Correia, J. A. Rodrigues, S. Pimenta, T. Dong, Z. Yang. Photodynamic Therapy Review: principles, photosensitizers, applications, and future directions. Pharmaceutics 2021, 13, 1332. https:// doi.org/10.3390/pharmaceutics13091332