La chimica è...

Che storia

Robert Bunsen, molto più di un semplice “becco”

6 giugno 2022

Chiunque si sia cimentato, anche solo per una volta, in un laboratorio di chimica conosce gli oggetti che lo animano: i camici bianchi, le provette di vetro tintinnanti, beute, pipette e quaderni fitti di appunti.
Ma nulla è più caratteristico di un laboratorio del Bunsen o più confidenzialmente “becco Bunsen, senza dubbio una delle invenzioni più importanti dell’ultimo secolo e non solo per la chimica: i fornelli a gas delle nostre cucine o quelli del barbecue funzionano con lo stesso principio che Robert Bunsen studiò già nel XIX secolo.
È proprio di lui che vogliamo parlare: un chimico brillante e intraprendente che ha dato i natali al bruciatore e ad altre scoperte che vale la pena raccontare.


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Robert Bunsen, molto più di un semplice “becco”





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Robert Bunsen nacque nel 1811 in una cittadina della Bassa Sassonia, in Germania. Il padre, professore, lo introdusse fin da piccolo allo studio delle discipline scientifiche a cui ben presto si appassionò.
La chimica era la sua materia preferita e si vedeva: iniziò a lavorare alla sua tesi di laurea a soli 17 anni e già a 19 conseguì il dottorato di ricerca, senza però trascurare gli studi in fisica e mineralogia.
Le sue straordinarie qualità di studente gli assicurarono una borsa di studio che gli permise di girare l’Europa e frequentare i laboratori di chimica più famosi ed entrare in contatto con le personalità di spicco dell’epoca.
Dai numerosi scambi professionali e personali Robert uscì ancora più arricchito e motivato: nel 1841 venne nominato professore ordinario all’università di Marburgo e iniziò una lunga serie di esperimenti, che resero il suo laboratorio conosciuto in tutta Europa.
Nel 1843, mise a punto la pila zinco-carbone (la pila di Bunsen), basata sulla reazione fra zinco (in acido solforico) e acido nitrico; con l’elettricità così ottenuta isolò, per elettrolisi dei rispettivi sali fusi, vari metalli puri, fra cui alluminio, calcio, litio, magnesio e sodio.

Oltre al Bunsen c'è di più

Intorno al 1780 il fisico e inventore Aimé Argand cominciò a perfezionare le lampade a olio, che, insieme a quelle a gas, erano già ben note. Ma si deve aspettare il 1827 per trovare ulteriori informazioni nel noto trattato “Chemical Manipulation” del chimico e fisico Michael Faraday.
E fu proprio nel 1859 che tutto cambiò. Il chimico inglese Henry Roscoe portò infatti a Bunsen una lampada Argand, che quest’ultimo modificò fino a ottenere una fiamma più stabile, piccola, calda e non luminosa. Ma anche il suo fidato tecnico di laboratorio Peter Desaga apportò utili e fondamentali miglioramenti.

A cosa servivano queste modifiche?
Ogni elemento, quando viene riscaldato, crea una fiamma colorata caratteristica, una sorta di firma della sua presenza all’interno di una miscela. Avere una fiamma stabile, ad alta temperatura e incolore in cui porre il campione da analizzare, significava riuscire a rintracciare e distinguerne anche la più piccola traccia: nacque così il becco Bunsen.
Lo strumento si rivelò fondamentale quando Robert Bunsen cominciò la collaborazione e l’amicizia con il fisico Gustav Kirchhoff. Insieme iniziarono ad analizzare lo spettro di colori attraverso i test “alla fiamma”, e, grazie a un’idea di Kirchhoff, riuscirono a brevettare lo spettroscopio con il quale furono scoperti due elementi chimici: il cesio, il cui spettro presenta caratteristiche linee blu brillanti e il rubidio con uno spettro che mostra due righe rosso brillanti.

Una vita per la scienza

Robert Bunsen dedicò tutta la vita alla professione di scienziato e di professore: il suo laboratorio formò un’intera generazione di chimici e aiutò la diffusione dello studio della chimica e della fisica nel 1800.
Nel 1877, quando la Royal Society introdusse la Medaglia Davy per gli scienziati che si erano distinti nelle ricerche chimiche, Robert Bunsen fu il primo a esserne insignito, insieme al prezioso alleato Kirchhoff.
Ancora oggi il ‘suo’ becco, ma anche le sue innumerevoli ricerche nel campo della chimica pura e applicata, sono la prova tangibile di come un’inarrestabile passione e tanto studio possono portare a risultati talmente eclatanti da influenzare le generazioni a venire.

Fonti: ilblogdellasci.com