Come afferma Labatut, la scienza non è mai il riflesso del mondo, ma delle nostre menti; e «solo una visione di insieme, come quella di un santo o di un pazzo, ci permette di decifrare la forma in cui è organizzato l’universo».
L’aspetto interessante di questo libro è che ogni storia, seppur inaspettatamente, è collegata alla precedente. Ogni capitolo raccoglie curiosità e racconti su scienziati e matematici, fino a narrare l’inaspettata “rivelazione” che li ha portati alle scoperte per cui sono diventati famosi.
Gli scienziati descritti da Labatut sono ebbri, immersi e in un certo qual modo annullati dalle proprie spirali di pensiero. In molti casi non comprendono fino in fondo come sono arrivati all’esito delle loro ricerche e non riescono a predirne le conseguenze future. Le storie di questi geni, attraverso le loro ossessioni e le malattie, elevano la grandezza delle loro menti, assoggettate, come quelle di tutti, alla precarietà dei corpi.
Tuttavia, il fascino di quest’opera sta nel dettaglio e la chiave nella magnificenza della storia raccontata. Labatut si serve della fiction e delle storie per svelare la complessità umana in un’opera che non è né saggio né fiction, ma un mix tra i generi. Questo proprio perché la scienza, così come la letteratura, ha lo scopo di raccontare storie partendo da uno sguardo nuovo.
Labatut ha affermato di essere personalmente ossessionato e affascinato dall’idea di rivelazione e di epifania, che, secondo lui, è strettamente connessa con il lasciarsi pervadere dall’ispirazione, connessa alla singolarità dell’individuo e alla sua personale visione e prospettiva.
Labatut, in una delle sue numerose interviste, ha spiegato la sua personale definizione di scienza: «La vera scienza sospetta sempre che dietro ogni sua scoperta giaccia qualcosa di più profondo, oscuro, strano.».