Tutti i motori a combustione interna – parliamo, ad esempio, di quelli delle automobili e delle moto – e i macchinari industriali necessitano di un lubrificante per funzionare.
I lubrificanti si ottengono tradizionalmente grazie alla raffinazione del petrolio e mediante l’aggiunta di speciali additivi, in grado di conferire particolari proprietà e caratteristiche al prodotto finale. Hanno lo scopo di ridurre l’attrito tra le parti in movimento di organi meccanici. In questo modo le sezioni lavorano meglio tra di loro, riducendo anche di molto le emissioni di CO2 nell’aria.
Durante il suo utilizzo, il lubrificante si consuma e subisce una serie di trasformazioni chimico-fisiche che lo rendono “esausto” e per questo non più utilizzabile. L’olio usato va sostituito seguendo un rigido schema, perché è un rifiuto pericoloso: se viene smaltito in modo scorretto è altamente inquinante.
E allora come fa ad essere sostenibile?
A renderlo tale è la filiera che lavora come una catena di montaggio per dare nuova vita alle varie componenti. Possiamo individuare le fasi essenziali: raccolta, rigenerazione, smaltimento.
I centri di raccolta rappresentano il primissimo, cruciale punto in cui converge l’olio. Una volta raccolto, in base alle sue condizioni, l’olio ha tre possibili destinazioni: rigenerazione, combustione o termodistruzione.
La rigenerazione è il processo che meglio valorizza l’olio usato raccolto, perché consente di trasformarlo in una base lubrificante rinnovata, con caratteristiche qualitative pressoché identiche a quelle degli oli prodotti direttamente dalla lavorazione del greggio.
La strada che si intraprende quando si rilevano un numero elevato di tracce contaminanti è invece la combustione. Gli impianti autorizzati trattano la parte di oli lubrificanti a temperature molto elevate così da neutralizzare la parte inquinante presente nei residui. Anche questa è un’alternativa che garantisce una seconda vita al lubrificante.
La terza opzione, ovvero lo smaltimento tramite la termodistruzione, viene presa in considerazione solo quando la concentrazione di agenti nocivi supera la soglia massima necessaria per la rigenerazione. È un processo che richiede un attento monitoraggio delle emissioni gassose per ridurre al minimo gli impatti ambientali. In Italia la percentuale di olio che raggiunge questo stadio è inferiore allo 0,2% del totale degli oli usati raccolti.
Questo significa che il nostro Paese avvia a rigenerazione il 99% degli oli usati raccolti, mentre il resto dell’UE ha una media del 55%. Ciò permette non solo di limitare la produzione di oli base da materia prima vergine, ma anche di generare un bilancio ambientale molto positivo. Vengono massivamente limitate le emissioni di anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra, di anidride solforosa, responsabile della produzione di piogge acide e di altre sostanze molto inquinanti e nocive per l’ambiente e per l’uomo.
Possiamo parlare di vero e proprio circolo virtuoso, un fiore all’occhiello della chimica, che produce reddito, occupazione e alimenta innovazione e competitività per un futuro sempre più sostenibile.