La chimica è...

Post d'autore

Adrian Fartade

27 ottobre 2022

Le “Fake News” non sono l’unico problema

— Come il nostro cervello ci inganna anche quando le informazioni sono giuste —

 

Negli ultimi anni si è parlato moltissimo del pericolo legato alle fake news, dei rischi ricollegabili alla loro massiccia diffusione e all’impatto che esse hanno sulle opinioni dei singoli individui. Il dibattito al riguardo è tutt’altro che concluso e anzi va mantenuto vivo e sempre aggiornato.

 

La diffusione delle fake news ha trovato un terreno fertile sia per come gestiamo il nostro desiderio di informazioni sia per la poca importanza che diamo ai nostri stessi bias cognitivi, che spesso ingannano il nostro cervello anche se ne siamo inconsapevoli.


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Le fake news sono dure a morire

Una delle convinzioni più difficili da scalfire è quella secondo la quale “se le persone avessero a disposizione tutte le informazioni giuste, senz’altro non prenderebbero le decisioni sbagliate”.

 

Decenni di prove a riguardo testimoniano invece che, anche quando le informazioni vengono pienamente comprese, il modo in cui queste vengono decodificate dipende dalla struttura dei pensieri e delle credenze pregresse. Molto spesso le decisioni che prendiamo sono infatti ricollegabili all’insieme di emozioni e credenze che acquisiscono un senso all’interno della narrazione sociale di chi siamo, di come interpretiamo le persone e il mondo che ci circonda.

 

Un problema strutturale, che si presenta quando si parla di “fake news”, è la convinzione che siano tendenzialmente le persone “credulone” e poco informate a cascare nella trappola della disinformazione, sicuramente non noi e men che meno le persone intelligenti o gli esperti di questa o quella materia. Dobbiamo invece essere consapevoli che tutti noi possiamo essere ingannati o dire cose non corrette, diventando quindi noi stessi fautori di fake news.

I bias cognitivi

Perché questo accade? La responsabilità è dei bias cognitivi. Uno dei più famosi è sicuramente quello della conferma, in base al quale selezioniamo soltanto le informazioni che confermano le nostre ipotesi, aspettative e credenze. Questo succede anche a persone che lavorano con la scienza ed è diffuso nei dibattiti.

 

Un altro esempio per capire meglio: secondo la SBS (shifting baseline syndrome), in assenza di informazioni ed esperienze pregresse rilevanti, le persone tendono a considerare normale la situazione in cui si trovano anche se non lo è. È per questo motivo che a volte le cose sconosciute ci fanno reagire negativamente o addirittura ci scandalizzano; tutto ciò che apprendiamo è ricollegabile sempre alle nostre esperienze passate. Pensiamo a quali reazioni suscita il cambiamento climatico, c’è chi lo nega o chi lo vive come un’urgenza.

 

A proposito di reazioni, pensiamo a come reagiamo di fronte ai cambiamenti imminenti di grande entità. Come scrive l’autore Roy Amara*, le aspettative nei confronti di un grande cambiamento tendono ad essere maggiori rispetto a quello che poi in realtà si verificherà. Infatti, quando non succede quello che avevamo in mente, rimaniamo così delusi da pensare che un reale cambiamento non si verificherà mai, arrivando addirittura a non notare intorno a noi i segni evidenti di quel cambiamento, rimanendo poi sopraffatti quando il cambiamento invece arriva.

 

Questi meccanismi, che non ci permettono di cogliere i segnali di una rivoluzione in arrivo, ci rendono incapaci di fare previsioni per il futuro in vari ambiti della nostra vita.

Comunicazione scientifica e valutazione del rischio

Lo stesso vale anche per la comunicazione scientifica: ogni volta che una nuova scoperta viene presentata come rivoluzionaria, in molti si innesca una dinamica per la quale se non si vedono effetti immediati, non la si ritiene più una scoperta importante.

 

Noi esseri umani abbiamo anche grossi problemi nella valutazione del rischio, sia per quanto ci riguarda sia per il mondo intorno a noi. La valutazione del rischio è strettamente collegata ai feedback che riceviamo dall’interazione con gli altri e con il mondo, dalle informazioni che riceviamo ma anche dalla nostra capacità di reazione. È dimostrato, ad esempio, che chi guida tende a sottovalutare i rischi di poter rimanere coinvolto in un’incidente e, al contrario, a sopravvalutare la propria capacità di reazione.

 

Traslate tutto questo su temi impattanti come il cambiamento climatico e vedrete quanto tutto diventi complicato! Sottovalutare l’impatto di eventuali situazioni o sopravvalutare ciò che le nuove scoperte scientifiche possono realizzare nell’immediato non ci permette di comprendere la reale portata del problema. Dunque, le nostre reazioni al riguardo ne risultano parecchio condizionate.

 

Uno studio sull’American Journal of Political Science, di James N. Druckman e altri ricercatori, ha dimostrato, contrariamente a quanto si pensi, che la diffusione della maggior parte delle fake news a un numero elevato di soggetti non arrivi direttamente dai media, ma da un ristretto gruppo che le apprende dai media e poi le divulga a moltissime persone. Questo accade perché abbiamo la tendenza a considerare più affidabili le notizie riportate in modo informale da amici, parenti o persone a noi prossime.

Cosa possiamo fare noi?

Quindi, cosa possiamo fare concretamente? Sicuramente adottare strumenti che ci permettano di scoprire in cosa ci siamo sbagliati, verificare le fonti di quello che diciamo e assicurarci di mettere in atto queste tecniche per prendere le giuste decisioni.

 

Smettiamo di considerare stupide le persone che credono alle fake news: cerchiamo invece di considerarle all’interno di un contesto più complesso, dove anche le tematiche sociali e psicologiche hanno un ruolo decisivo.

 

Ci sono alcune buone pratiche che possono aiutarci, collettivamente, nel mettere alla prova costantemente le nostre convinzioni e le nostre idee, attraverso una rete diffusa di fonti e meccanismi di verifica. Nessuna persona o sistema è infallibile, ma tutti insieme possiamo avere un ruolo per affrontare il problema e mettere in campo tutte le difese possibili contro le fake news; un po’ come quando viene filtrata l’acqua: per raggiungere un risultato migliore non basta un solo filtro, ne servono tanti diversi, ognuno in grado di trattenere particelle di dimensioni differenti.

 

Solo così potremo adattarci e riuscire a vivere tutti insieme, interconnessi su questo Pianeta. Il rischio è, altrimenti, di non riuscire a costruire una civiltà planetaria in grado di funzionare. È un po’ quello che succede a un organismo complesso: per funzionare ha bisogno di un sistema immunitario che reagisca nel miglior modo possibile e più velocemente agli agenti sconosciuti.

*Roy Amara, ricercatore, scienziato, futurista americano e Presidente dell’Institute for the future, è noto per aver coniato “la legge di Amara” sull’effetto della tecnologia. “Tendiamo a sopravvalutare l’effetto di una tecnologia nel breve periodo e a sottovalutarne l’effetto a lungo termine”.

Adrian Fartade, storico della scienza, divulgatore scientifico, scrittore e attore.