Fra i casi più eclatanti di allarmismo in tal senso, si ricorda per esempio quello del famigerato “metro cubo di pesticidi” usato pro capite in Veneto. Un quantitativo che tradotto in peso diventa pari a mille chili e che non trova alcun riscontro nella realtà. Nonostante ciò, venne rilanciato da alcuni organi di stampa e perfino da Marcos Orellana, inviato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Non si sa ovviamente chi abbia fornito a Orellana quel valore di un metro cubo annuo, ma chiunque sia stato ha generato un allarme di fatto insussistente. I chili pro capite utilizzati in Veneto, infatti, non arrivano a quattro, almeno stando alle statistiche ufficiali raccolte sul territorio. Il fatto che sia stato adottato un volume, il metro cubo, anziché il peso, i chili, fa sospettare siano stati considerati “pesticidi” tout court le miscele fitosanitarie con cui vengono irrorate le colture. In sostanza, l’acqua utilizzata per diluire gli agrofarmaci sarebbe diventata agrofarmaco lei stessa, moltiplicando di oltre 250 volte il dato reale.
Nulla da stupirsi, quindi, se la popolazione veneta provi ansia all’idea che gli agricoltori regionali impieghino prodotti per la difesa delle piante. Una popolazione che però, sempre stando alle statistiche ufficiali, mostra un andamento della mortalità per tumori che ordina le diverse province venete in modo inverso rispetto alle superfici vitate e agli impieghi di agrofarmaci di ciascuna. In sostanza, si muore di tumore molto più nelle province dove vi sono meno viti e meno agrofarmaci, Belluno e Rovigo, e molto meno in province in cui vi sono moltissime viti e trattamenti, come per esempio Verona e Treviso, quest’ultima patria del Prosecco. Altro esempio di come percezione e realtà siano spesso fra loro ribaltate, creando gravi tensioni fra cittadini e agricoltori senza che ve ne sia una concreta ragione.
Un altro fronte lungo il quale la disinformazione agisce con maggior capillarità è quello dei residui nei cibi. Il caso del glifosate nella pasta resta in tal senso emblematico, con i residui dell’erbicida rinvenuti a livelli migliaia di volte inferiori alla soglia considerata sicura per la salute, ma comunque fatti percepire come potenzialmente pericolosi se ingeriti. Il tutto, a onta di media più interessati al sensazionalismo che alla corretta informazione.
In realtà, i residui di agrofarmaci negli alimenti sono controllati in modo maniacale sia a livello europeo, tramite Efsa, sia a livello italiano tramite i Ministeri dell’Agricoltura e della Salute. Le statistiche mostrano infatti come la quasi totalità degli alimenti rientri nei parametri normativi di sicurezza, con i campioni irregolari in Italia che sono spesso nell’ordine dello “zerovirgola”. L’intero ammontare di residui che un cittadino medio si stima ingerisca annualmente con il cibo è infatti di poche decine di milligrammi. Un quantitativo decisamente irrisorio, soprattutto pensando al circa mezzo chilo di sostanze naturali, ma comunque nocive per la salute, che si calcola vengano assunte annualmente sempre tramite l’alimentazione. A conferma, peraltro, di quanto il termine “naturale” non possa essere utilizzato affatto come sinonimo di “sicuro”, nonché di quanto fuorviata sia la percezione popolare in tema di sicurezza alimentare.
Ciò che manca spesso nella comunicazione sulla chimica agraria è il ruolo irrinunciabile che questa ha nella produzione di abbastanza cibo sicuro per tutti, ottenibile per di più a prezzi accessibili anche per le fasce meno abbienti della popolazione.
In assenza di chimica agraria, utilizzata sia per difendere le colture, sia per nutrirle, il calo produttivo sarebbe infatti a doppia cifra percentuale, con alcune colture che diverrebbe praticamente impossibile coltivare in modo economicamente sostenibile. Tale ruolo strategico della chimica andrebbe quindi meglio valorizzato a livello percettivo popolare, al fine di fare comprendere anche ai non addetti al settore l’importanza che la chimica agraria ha nei processi produttivi. A vantaggio ovviamente di tutti.
Donatello Sandroni, laureato in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Milano, ha svolto attività di ricerca e dal 2010 lavora come giornalista e divulgatore scientifico.