La chimica è...

Post d'autore

Telmo Pievani

24 novembre 2022

LE FAKE NEWS VANNO SMONTATE, NON SOLO SMENTITE

 

Le fake news ci dicono esattamente ciò che vorremmo sentire. Sono congegnate in modo tale da colonizzare facilmente i nostri cervelli, diffondendosi come virus nella rete. Hanno molte frecce al loro arco: fragilità educativa, risentimento e insoddisfazione sociale, sfiducia nelle istituzioni, vittimismo contro la “scienza ufficiale”, interessi economici, bias cognitivi, sistemi di credenze profondamente radicati nel passato evolutivo della nostra mente. Noi adoriamo le spiegazioni teleologiche, le narrazioni di agenti intenzionali nascosti, le dietrologie, le cospirazioni. Fino al punto di rinchiuderci in una “realtà alternativa” che ci sembra così vera e sapida da andare tutti insieme ad assaltare Capitol Hill.


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Dall’altra parte invece c’è la scienza, con tutto il suo carico di scomode evidenze controintuitive. Le statistiche e i calcoli di probabilità non ci vengono immediati. L’evoluzione darwiniana è proprio il contrario della teleologia e il paradosso è che il nostro cervello sembra evolutivamente predisposto per fraintenderla. Come se non bastasse, DNA, geni, atomi e molecole sono invisibili: bisogna fare uno sforzo aggiuntivo di immaginazione per dare loro concretezza e tridimensionalità. Anche la chimica ha i suoi problemi con il senso comune e la sua robusta dose di controintuitività contribuisce a spiegare (non a giustificare, certo) le tentazioni chemofobiche che rendono l’aggettivo stesso, “chimico”, un dispregiativo foriero di esoterici sospetti.

 

Aggiungiamo a tutto ciò il fatto che, sì, le fake news ci sono sempre state (disinformazione, propaganda, menzogne di successo che di solito ci si limita a elencare), ma non avevano mai trovato una nicchia ecologica tanto favorevole quanto il web, con le sue polarizzazioni, le camere dell’eco in cui tutti confermano i nostri preconcetti, le tribù digitali in cui ci sentiamo protetti e intossicati di certezze. Quindi le fake news sono una vecchia storia, d’accordo, ma adesso c’è qualcosa di nuovo e di preoccupante. In un recente articolo apparso su Science Advances, lo scienziato cognitivo della Brown University Steven Sloman e colleghi hanno analizzato le relazioni tra l’opposizione al consenso scientifico consolidato, le effettive competenze degli oppositori sul tema e quanto invece costoro presumevano di sapere.

Si scopre che il problema delle fake news non è semplicemente l’ignoranza, da colmare con l’educazione e l’alfabetizzazione scientifica, e nemmeno la sola adesione a valori forti e ideologie. Spesso sono proprio le persone con buoni livelli di scolarizzazione a polarizzarsi maggiormente tra gruppi pro e contro un certo consenso scientifico. Anzi, le persone con maggiori capacità di ragionamento e di ricerca trovano più facilmente il modo per auto-convincersi di una teoria che confermi i loro pregiudizi. Una volta raggiunta quella conclusione antiscientifica, nulla li scalfisce. Più li si confuta e più strumentalizzano ogni informazione per confermare le loro supposizioni. Ciò avviene perché si crea un divario vieppiù incolmabile tra la conoscenza oggettiva, cioè quello che un individuo effettivamente sa, e la conoscenza soggettiva, ovvero ciò che un individuo presume di sapere. Il problema sta dunque nell’eccesso di confidenza verso ciò che si pensa di conoscere.

 

Insomma, le fake news (il termine stesso è semplificante, si tratta più precisamente di cattiva qualità del dibattito) sono una tempesta perfetta per le nostre menti: hanno i nostri sistemi di credenze a loro favore e un terreno fertile in cui proliferare. Inoltre, le fake news non sono tutte uguali. Se qualche buontempone crede nella terra piatta, tendenzialmente non nuoce alla salute degli altri. Chi invece diffonde informazioni false e tendenziose, costruite ad arte, che influenzano i comportamenti sociali delle persone durante una pandemia, oppure le scelte alimentari e di cura, nuoce gravemente alla salute perché sta inquinando i pozzi del dibattito pubblico. Non a caso, in alcuni paesi si sta discutendo della possibilità di sanzionare i negazionisti e i creatori di fake news pericolose. Che nuocciano o meno, vanno combattute senza troppe alzate di spalle e la strategia migliore non sembra essere la semplice smentita.

Alla luce di tutto quanto detto sin qui, è chiaro infatti che non basta fare debunking, per quanto necessario. Non basta smentire le fake news punto a punto, bisogna anche smontarle, cioè mostrare a tutti (soprattutto a quella zona grigia di persone non ancora imprigionate nella loro bolla di autoconvincimento) quali sono i loro metodi di costruzione, i trucchi e le furbizie, in modo da fornire gli antidoti per riconoscerle e smascherarle. Sull’altro fronte, quando si comunica la scienza, non bisogna limitarsi a sciorinare i risultati, i prodotti, i dati, i numeri. Sono essenziali, certo, ma quelli cambiano con il tempo. Ancor più importante è spiegare come si arriva a quei risultati, perché sono affidabili ed entro quali limiti: bisogna raccontare anche i processi, cioè l’approccio scientifico, il metodo, la genesi di quei prodotti, la loro validazione, le incertezze, i dubbi, lo scetticismo sistematico. Così facendo, si possono raccontare efficacemente sia i contenuti e le acquisizioni della scienza (è provato da molti esperimenti didattici) sia, al contempo, i suoi metodi e le basi di un approccio razionale alla realtà. Solo comunicando la scienza in modo più inclusivo e avvincente riusciremo a rendere la vita un po’ meno facile ai sempiterni dispensatori di bugie.

Telmo Pievani, Filosofo della biologia, evoluzionista, scrittore, autore televisivo e docente al Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Padova.

 

 

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