Frangar non flectar è un famoso motto latino traducibile con “mi spezzo ma non mi piego”. Questa frase può essere interpretata in riferimento a una persona che non piega i propri valori di fronte a una situazione o un problema, tanto da subirne piuttosto le conseguenze: insomma senza voler giungere a compromessi.
Sicuramente molto motivante, ma che trova poco riscontro nella realtà delle cose, anzi. Forse è più utile il contrario, ovvero essere capaci di adattarsi alle situazioni piuttosto che lasciarsi sopraffare da esse: in questo strano 2020 è possibile applicare questo principio a diversi aspetti, quali quello scientifico, quello comunicativo e quello sociale.
Si è parlato tanto di resistenza, ma troppo poco di resilienza, ovvero la capacità di reagire nei confronti di traumi, che possono essere fisici ma anche psicologici.
Andiamo con ordine e partiamo con l’elemento che più mi appartiene, ovvero quello scientifico, in cui la resilienza è fondamentale. Il mondo della ricerca è fatto così, si tratta di esplorare l’ignoto andando alla scoperta di qualcosa di nuovo, che possa portare ulteriore ricchezza al sapere scientifico. Ma non solo, ogni giorno devi prendere delle scelte: non avendo a disposizione infiniti cloni scegli a cosa dare la precedenza scommettendo su alcuni esperimenti, lasciandone da parte altri.
Detto così sembra casuale, ma non lo è: dai dati si può valutare se ha senso andare in certe direzioni. Esiste la certezza che funzioni? Assolutamente no, ma per alcune si può essere più sicuri per dati precedenti, per altre no, sono ipotesi sperimentali, sulle quali si decide di puntare, valutando il tempo “perso” nel caso di fallimento. Che poi non è mai veramente perso, perché si saprà che quella non è la direzione da perseguire per il momento.
Quindi la ricerca è un incrocio tra una roulette sui cui numeri devi decidere quante fiches puntare e una foresta oscura con bivi e rotonde dalle tante uscite.
La resilienza è fondamentale quando si fa ricerca: riuscire a adattarsi a ciò che i dati sperimentali ti stanno dicendo, anche se in contrasto con l’ipotesi iniziale, ti permette di scegliere quale sarà il passo successivo da compiere.
Se chi si occupa di scienza dovesse essere sempre talmente testardo da incaponirsi in un vicolo cieco finirebbe per spezzarsi, pur non ammettere di doversi piegare di fronte all’evidenza. D’altronde dovremmo imparare dall’evoluzione, in cui l’adattamento è chiave all’interno della selezione naturale. L’introduzione casuale di mutazioni porta a una grande diversità, la quale a sua volta genera competizione: non sopravvive per forza il più grande e grosso, ma gli individui dotati del patrimonio genetico che permette loro di sfruttare al meglio le risorse presenti in certo luogo. Presenti in un dato momento, perché le condizioni ambientali possono cambiare, cambiando anche la pressione selettiva per la quale sarà necessario un nuovo adattamento, lento e casuale.
Ciò che cambia invece velocemente è il modo comunicare, soprattutto nel mondo di internet e dei social media, in continua evoluzione. La narrazione della pandemia che stiamo vivendo è un chiaro segno di come spesso non ci si renda conto dell’effetto che le parole possono avere sulle persone e le ricadute sulla società civile.
Da scienziato riconosco le mancanze e gli errori di parte della comunità scientifica nel veicolare correttamente alcuni messaggi, vuoi per le parole sbagliate al momento sbagliato, vuoi per un eccesso di ottimismo o pessimismo, quando ci si dovrebbe attenere squisitamente ai dati raccolti.
La resilienza nella comunicazione sta nella capacità di adattare la narrazione a seconda dell’interlocutore, del mezzo e dello scopo.
Anche in questo caso spesso per restare sui propri punti fermi ci si è spezzati pur di ammettere che era necessario fare un passo indietro e adattarsi meglio alla situazione, capendo anche che comunicare l’incertezza è una sfida non da poco.
Arriviamo così alla resilienza sociale, di cui tutti i cittadini sono protagonisti con le proprie idee, comportamenti e gesti quotidiani.
La società deve cercare di adattarsi a cambiamenti di tipo demografico, culturale ed economico, altrimenti rischia di spezzarsi e dilaniarsi.
Nella situazione pandemica risulta complesso veicolare il perché di una nuova normalità, del perché sia importante indossare la mascherina e mantenere la distanza, ma anche spiegare l’incertezza che alberga nella scienza. Non sappiamo ancora tante cose ed è normale: capire l’incertezza può essere difficile, ma ancor più difficile è accettare che la scienza non sia infallibile e che abbia bisogno di tempo per capire dove puntare le proprie fiches al tavolo del grande casinò scientifico.
“Come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare” recita una canzone: in natura è proprio così poiché la vita sul nostro pianeta è una sfida senza esclusione di colpi, in cui introdurre qualcosa di nuovo è spesso fondamentale. Gli esseri viventi lo fanno mutando in maniera casuale, gli scienziati con nuovi esperimenti e scoperte, i comunicatori parlando e aggiornando alla situazione corrente, la società rispondendo ai cambiamenti.
I sistemi biologici vengono definiti robusti quando sono capaci di affrontare situazioni ambientali stressanti riuscendo anche a rinunciare ad alcune funzioni fisiologiche pur di mantenere funzionante il sistema: esempi di resilienza a cui dovremmo ispirarci quali scienziati, comunicatori, cittadini o comunque, in generale, esseri umani.
Stefano Bertacchi
Biotecnologo industriale, Dottorando di Ricerca, Divulgatore scientifico.
Autore di “Geneticamente modificati – viaggio nel mondo delle biotecnologie” (Hoepli, 2017)