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Non è la Zebra

30 maggio 2024

Pochi concetti delle scienze sociali hanno riscosso così tanto successo come i bias cognitivi. Al giorno d’oggi, è difficile incontrare un manager, un comunicatore o uno scienziato che non conosca questo concetto. E anche quando esso non è noto, vi accorgerete che basta una semplice descrizione per indurre nell’ascoltatore un senso immediato di riconoscimento. Un esempio? L’Effetto Struzzo è la tendenza delle persone ad evitare informazioni scomode per non sopportare un disagio psicologico, anche se si tratta di informazioni importanti (es. fare una visita medica o il saldo della carta di credito). Suona familiare, vero? Questa “contagiosità” è uno degli ingredienti che hanno reso tali conoscenze così virali. E forse, anche così mal interpretate! In effetti, di “fake news” sui bias cognitivi ne girano a bizzeffe. Partiamo dalla più diffusa:


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I bias cognitivi sono una scorciatoia mentale – o anche, i bias cognitivi sono euristiche

No, non è proprio così. I bias cognitivi sono deviazioni sistematiche da come “normalmente” dovremmo comportarci, ossia secondo alcune teorie normative del comportamento(1). In effetti, in alcune discipline come l’economia e la biologia, esiste una famiglia di teorie su come gli individui dovrebbero comportarsi per massimizzare una qualche “valuta” (ad esempio, l’utilità in economia o il successo riproduttivo in biologia).(2) Alcune di queste teorie sono spesso considerate sinonimo di razionalità: per essere considerati razionali, gli agenti dovrebbero pensare o scegliere in un certo modo. In effetti, storicamente il programma di ricerca su bias (ed euristiche), inaugurato dall’incontro di due psicologi, Amos Tversky e Daniel Kahneman nel 1968(3) , nasce proprio come critica ad alcune teorie normative, descrivendo e testando sperimentalmente situazioni in cui i comportamenti umani deviano da una norma.

 

Originariamente, però, i bias non erano concettualizzati come scorciatoia mentale, o come “causa” di qualche comportamento, ma come “effetto” di un processo cognitivo più generale.(4) Per usare una similitudine, se sto camminando in montagna e a un certo punto abbandono il percorso per prendere una scorciatoia, può essere che mi perda o che, al contrario, arrivi più in fretta. Se dovessi perdermi, l’esito di aver preso una scorciatoia sarà l’essermi smarrito – nella similitudine, questo è il bias cognitivo. Al contrario, la scorciatoia è il processo cognitivo generale che ha causato il bias, e che spesso consiste in un’euristica – ossia una regola semplificata per rendere meno complesse alcuni giudizi o decisioni. Un esempio? Se dovete comprare una bottiglia di vino da regalare, ma non ve ne intendete, potreste usare il prezzo come euristica: se costa tanto, allora dev’essere buono.(5) Quindi, euristiche e bias cognitivi non sono la stessa cosa: le prime descrivono un processo, i secondi descrivono l’esito di tale processo.

 

A questo punto, possiamo buttare giù un paio di definizioni puntuali: i bias cognitivi sono definiti come errori sistematici (e dunque, prevedibili) del pensiero e del giudizio umano, che si configurano come deviazioni da una norma del comportamento, e che possono essere causati dal ricorso ad euristiche.(6) Le euristiche, a loro volta, sono scorciatoie mentali o regole semplificate che ci aiutano a portare a termine compiti cognitivi complessi; sono efficienti (fanno risparmiare tempo e fatica) e in media efficaci, ma possono indurci in errori di giudizio e scelte sbagliate.(7)

Ma passiamo ora a un altro falso mito…

“I bias cognitivi sono sinonimo di ignoranza”

All’inizio di questo articolo facevamo riferimento al fatto che i bias cognitivi sono sulla bocca di tutti. Una cosa che non vi abbiamo detto, però, è che spesso oltre che essere male interpretati, vengono anche utilizzati in maniera strumentale per offendere elegantemente qualcuno che ci sta sulle balle.(8) Lo si vede sui social, non importa se sotto una notizia riportata da un giornale o se sotto un post di un divulgatore scientifico, è ormai facile imbattersi in attacchi di persona X a persona Y in cui, in sintesi, la presunta stupidità dell’utente è direttamente proporzionale alla quantità di errori cognitivi commessi.

 

Sfatiamo questo mito una volta per tutte: i bias cognitivi non hanno davvero a che fare con l’intelligenza di una persona né tantomeno con la sua stupidità.(9) Piuttosto, descrivono una caratteristica strutturale del pensiero umano che trova la sua origine nel modo in cui siamo portati a ragionare ogni giorno: alcune volte processando troppe informazioni anche per un cervello evoluto come il nostro; altre, in troppo poco tempo per poter produrre un pensiero che sia cosiddetto “razionale” (posto che alcuni stili di pensiero possono con più facilità indurre le persone in errore!). Qualcuno di voi potrebbe obiettare adesso dicendo: “Va bene, i bias cognitivi non hanno nulla a che fare con la stupidità di una persona, ma con la sua ignoranza sì”. Anche in questo caso, affermazioni del genere non sono supportate da evidenze scientifiche, o meglio, in decenni di ricerca è stato notato come l’istruzione abbia solo un piccolo ascendente su quella che è la “razionalità” delle persone.(10) Ecco spiegato il motivo del perché una persona della vostra cerchia di affetti, pur avendo raggiunto un buon livello d’istruzione (mettiamoci anche un titolo universitario và), può cadere in errori cognitivi e fare uscite poco felici durante il cenone della Vigilia di Natale, come: “se quest’inverno ha fatto freddo, com’è possibile che esista il surriscaldamento globale?”. Ti si è accesa una lampadina nella tua stanza dei ricordi, vero? Ecco, te lo dicevamo!

Perché è importante essere chiari su questi temi?

Bias ed euristiche sono fenomeni trasversali con un enorme impatto sulle nostre vite. Da ormai più di mezzo secolo, si è aperto un fruttuoso dibattito scientifico sul loro ruolo in diverse importanti questioni sociali: ad esempio, nelle decisioni in ambito sanitario, giuridico ed economico, ma più recentemente, anche nella disinformazione, nel complottismo e nel negazionismo. Se desideriamo che questo dibattito sia più di una mera speculazione, ma soprattutto, che sia privo di giudizi morali e, quindi, il più rigoroso possibile, allora è indispensabile definire con precisione i concetti e gli strumenti di ricerca – d’altronde, non è forse questo il primo passo dell’indagine scientifica?

 

 

1 Baron, J. (2014). Heuristics and biases. In E. Zamir & D. Teichman (Eds.), The Oxford handbook of behavioral economics and the law (pp. 3–27). Oxford University Press.
2 Kennedy A. (2022). The what, how, and why of naturalistic behavior. Current Opinion in Neurobiology, 74, 102549. https://doi.org/10.1016/j.conb.2022.102549
3 Lewis, M. (2017). Un’amicizia da Nobel. Kahneman e Tversky, l’incontro che ha cambiato il nostro modo di pensare. Raffaello Cortina Editore, Scienza e idee.
4 Keren, G., & Teigen, K. H. (2004). Yet another look at the heuristics and biases approach. In D. J. Koehler & N. Harvey (Eds.), Blackwell Handbook of Judgment and Decision Making (pp. 89–109). Blackwell Publishing.
5 Gneezy, A., Gneezy, U., & Lauga, D. O. (2014). A Reference-Dependent Model of the Price–Quality Heuristic. Journal of Marketing Research, 51(2), 153-164.
6 Baron J (2007). Thinking and Deciding (4th ed.). New York, NY: Cambridge University Press.
7 Tversky, A., & Kahneman, D. (1974b). Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases. Science, 185(4157), 1124–1131. https://doi.org/10.1126/science.185.4157.1124
8 Gigerenzer, G., (2018). The Bias Bias in Behavioral Economics. Review of Behavioral Economics 5, 303–336.. https://doi.org/10.1561/105.00000092
9 Es: Stanovich, K. E., West, R. F., & Toplak, M. E. (2013). Myside bias, rational thinking, and intelligence. Current Directions in Psychological Science, 22(4), 259–264.
10 Stanovich, K. E., & West, R. F. (2008). On the relative independence of thinking biases and cognitive ability. Journal of Personality and Social Psychology, 94(4), 672–695.

 

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Non è la zebra, progetto di divulgazione scientifica a cura di Greta Durante e Lorenzo Gagliardi.