La fontana del Nettuno è costituita da un complesso bronzeo di 43 sculture e da una parte lapidea. Nel corso degli anni è stata protagonista del degrado tipico dei manufatti esposti agli agenti atmosferici e alle attività umane.
L’acqua, a differenza di quanto si possa pensare, è una delle cause principali di degrado. Risalendo dall’interno della costruzione, zampilla e avvolge i bronzi e i marmi decorati, entrando in contatto con tutti i materiali e con quasi tutte le superfici, in modo diretto o indiretto, determinando di conseguenza l’ossidazione dei metalli e reazioni dannose per i marmi.
Per l’utilizzo di pastiglie al cloro è stata rilevata, nei bronzi della fontana, la presenza di cloruri di rame, con le tipiche pustole di corrosione, e di isocianurati di rame, dalla colorazione viola. Inoltre sulla superficie delle statue bronzee sono visibili anche incrostazioni calcaree di diversa consistenza e macchie di ossidi di ferro.
Tra delfini e sirene, tra putti e stemmi araldici, la storia della fontana del Nettuno è stata da sempre abbastanza travagliata. A soli 139 anni dall’inaugurazione, nel 1705 il Senato di Bologna iniziò a preoccuparsi del suo precoce stato di degrado.
Tra il 1700 e il 1900, la fontana venne più volte riparata e pulita, con prodotti di dubbia origine che ne segnarono gravemente la superficie. Solo dopo la Prima guerra mondiale vennero rimosse le incrostazioni presenti sulle sculture e fu eseguito un processo di patinatura con l’aiuto di una vernice a base di resina, che si pensa ne abbia rallentato il deterioramento.
Dopo un lungo periodo di studi e indagini strumentali, nel febbraio 1988 iniziarono nuovi interventi sui bronzi e sulle parti marmoree; fu l’occasione, per più di duecentomila persone, di apprezzare da vicino l’accuratezza e la complessità del restauro dei bronzi. Solo 25 anni dopo, tuttavia, si resero necessarie nuove opere di conservazione del gigante di Bologna.
Gli interventi di restauro hanno puntato a ristabilire le originarie condizioni conservative e, al contempo, facilitare la lettura dei manufatti degradati. Si è scelto infatti di procedere seguendo i criteri del minimo intervento, della massima selettività e della reversibilità delle operazioni. Ma cosa significa nello specifico?
Sulle statue sono state effettuate analisi e indagini non distruttive o micro-invasive per non danneggiare l’opera, per caratterizzare le tecniche esecutive ma anche i materiali costitutivi originali e i materiali di restauro, sia a scopo documentaristico, sia per poter effettuare scelte di restauro specifiche e mirate.
La chimica come sempre è stata un preziosissimo alleato. È stato possibile intervenire sulle incrostazioni calcaree e sui prodotti di corrosione, come rame e ferro, con impacchi di soluzioni chelanti a concentrazioni limitate e in tempi controllati.
Sulle componenti lapidee della fontana sono state invece utilizzate metodologie di pulitura differenti ma appropriate alla composizione dei materiali stessi e dei prodotti di alterazione che dovevano essere rimossi. Le differenti procedure sono state definite in base ai risultati delle analisi scientifiche e delle verifiche di laboratorio, fondamentali negli interventi di restauro.
Nei punti dove si è rivelata la presenza di strati di natura carbonatica, con particelle atmosferiche inglobate, e vecchi protettivi inidonei e alterati, si è intervenuti mediante impacchi con soluzioni di solventi di diversa natura, rifinendo il lavoro con mezzi meccanici o con strumenti laser.
Dunque, il restauro della fontana del Nettuno è sì una storia complessa, fatta di cicatrici e degrado, ma anche di rinascita e bellezza, grazie alla ricerca scientifica e alla chimica.