Definite nel 2009 dalla Comunità Europea “Key Enabling Technology” (ovvero “tecnologie chiave”), le biotecnologie hanno radici lontane: fin dai tempi più antichi i nostri antenati hanno imparato a produrre cibi e bevande da processi di lievitazione e fermentazione.
Ad esempio la birra, conosciuta già in Mesopotamia nel 6.000 a.C., non è altro che il risultato del processo biotecnologico di fermentazione del lievito da parte di un microrganismo che trasforma gli zuccheri in alcool e anidride carbonica.
Oggi sono parte integrante della nostra vita quotidiana, al punto che quasi non ce ne accorgiamo. Prendiamo ad esempio l’industria alimentare: il pane diventa soffice e gonfio per il processo di fermentazione operato dai lieviti della specie Saccaromyces Cervisiae che convertono l’amido della farina in anidride carbonica.
Anche “l’effetto vintage” dei nostri jeans preferiti deve molto alle biotecnologie: l’enzima laccasi scolorisce il denim, mentre l’enzima catalasi viene usato per rimuovere l’agente sbiancante. Questi processi permettono di ottenere tessuti più morbidi, di ridurre il consumo di energia, acqua e i abbassare i costi di produzione.
E in futuro? Secondo le stime dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il ruolo delle biotecnologie nel 2030 sarà sempre più rilevante per l’economia mondiale, in quanto contribuiranno alla produzione di prodotti farmaceutici (80%), di prodotti agricoli (50%), di prodotti chimici e industriali (35%), incidendo complessivamente per il 2,7% del Pil globale.
Le biotecnologie sono valide alleate per dare soluzioni alle sfide di oggi e di domani.
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