La biodinamica si basa su un approccio “olistico” all’agricoltura: la fattoria è considerata un unico organismo vivente, in cui la salute delle singole parti non può essere separata da quella dell’organismo preso nel suo insieme.
Nella pratica, questo principio si applica in due modi. La fattoria biodinamica dev’essere prima di tutto una fattoria “biologica”, dove non vengono utilizzati diserbanti, OGM e dove ci sono forti limitazioni all’uso di macchinari agricoli e fertilizzanti chimici. In altre parole, l’agricoltore biodinamico non deve utilizzare quasi nessuna delle innovazioni introdotte negli ultimi decenni con la cosiddetta “rivoluzione verde“ (ne avevamo parlato QUI).
Quello che distingue la biodinamica dall’agricoltura biologica è la componente esoterica, che si basa sull’utilizzo di nove “preparati” dalle presunte proprietà mistiche.
Il “502”, per esempio, consiste in una vescica di cervo riempita con fiori di Achillea Millefoglie. La vescica deve essere sotterrata per mesi e quel che ne resta dev’essere sciolto in acqua e poi distribuito sul campo. Per non parlare dell’uso di preparati come il famoso “cornoletame”, che consiste nel riempire un corno di vacca (possibilmente che abbia già partorito) con letame di vacca, seppellirlo e lasciare che questo stagioni sottoterra per tutto l’inverno, fino a Pasqua, in modo da arricchirlo e impregnarlo dell’energia cosmica. Ne basteranno così soli 200 grammi per fertilizzare un ettaro di terreno (due campi da calcio).
Si tratta perlopiù di pratiche pseudoscientifiche che si rifanno agli insegnamenti risalenti ai primi anni ’20 del ‘900 di Rudolf Steinedel, fondatore dell’antroposofia (dottrina teosofica che concepisce la realtà universale come una manifestazione divina in continua evoluzione).
Si tratta di una moda quindi o di un passo verso un’agricoltura sempre più sostenibile?
Non esiste uno studio che abbia dimostrato se le energie del cosmo entrino in un “cornoletame” sotterrato, in che modo agiscano e quali effetti producano sulle piante.
Inoltre il forte utilizzo di letame e di piante da sovescio (una pratica agronomica che consiste nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno) potrebbe rappresentare un forte limite alla biodinamica nel momento in cui essa si proponesse come agricoltura alternativa a quella intensiva attuale, sia per motivi di produttività assoluta, sia di impatti ambientali dovuti alla moltiplicazione degli animali da allevamento.
Attualmente diverse società, federazioni e accademie scientifiche italiane hanno sottoscritto un documento per prenderne le distanze. Naturalmente ogni agricoltore è libero di utilizzare il metodo di coltivazione che preferisce, ma dobbiamo sempre tenere presente che è solo attraverso l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica che è possibile coniugare le esigenze della produttività agricola con la salubrità dei raccolti e la salvaguardia dell’ambiente.