Rita Levi Montalcini nacque a Torino il 22 aprile 1909 da una famiglia ebrea; il padre, Adamo Levi, fu ingegnere elettrotecnico e matematico, mentre la madre, Adele Montalcini, pittrice. Entrambi i genitori incoraggiarono i figli allo studio e alla ricerca intellettuale, ma, nonostante questo, Rita risentì molto della forte personalità del padre, convinto che una carriera professionale avrebbe interferito con i classici doveri di una donna.
La stessa Rita commentò con queste parole la propria infanzia:
«La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti mi hanno enormemente aiutata a far fronte agli anni difficili della vita.»
Nel 1930, nonostante il parere contrario del padre e con la tenacia che la contraddistinse per tutta la vita, Rita Levi Montalcini si iscrisse alla facoltà di medicina all’Università di Torino, dove si laureò nel 1936 con il massimo dei voti. Fin dal primo anno di Università lavorò come internista nell’istituto di Giuseppe Levi, dove conobbe altri due promettenti medici, Salvatore Luria e Renato Dulbecco. Incredibilmente, sia lei sia questi due giovani medici, diventati presto amici, vinsero tutti – nel corso della loro carriera – il Premio Nobel.
Nel 1938, mentre si stava specializzando in Psichiatria e Neurologia, vennero emanate le leggi razziali e Rita fu costretta a emigrare in Belgio. In quegli anni, per lei così difficili, fu ospite dell’Istituto di Neurologia dell’Università di Bruxelles e portò avanti gli studi sul differenziamento del sistema nervoso.
Nell’inverno del 1940, tornata a Torino, proseguì le sue ricerche allestendo un laboratorio domestico, dove iniziò a studiare il sistema nervoso degli embrioni di pollo; scampata alla deportazione, nel 1944 entrò come medico nelle Forze Alleate.
Nel 1947, accettando l’inaspettato invito del neuroembriologo Viktor Hamburger, si recò negli Stati Uniti presso la Washington University di Saint Louis e, quello che doveva essere un breve soggiorno, si rivelò l’esperienza più importante di tutta quanta la sua carriera.
Qui, nel 1954, insieme al suo collaboratore Stanley Cohen, scoprì il Nerve Growth Factor (NGF), una proteina essenziale nella crescita e nella differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. Grazie a questa scoperta, nel 1986 Rita Levi Montalcini e Stanley Cohen vinsero il Premio Nobel per la Medicina.
Nonostante l’impegno negli Stati Uniti, Rita lavorò assiduamente anche in Italia e collaborò in tantissimi progetti di interesse scientifico e sociale.
All’età di 90 anni, per una maculopatia degenerativa, cominciò a perdere progressivamente la vista, ma non se ne preoccupò mai seriamente:
«Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente».
Femminista, progressista, icona di molte battaglie civili e del pensiero libero, che nel contesto italiano suonò decisamente rivoluzionario:
«Non mi sono sposata perché non avevo tempo. Gli uomini mi piacciono, ma se non posso lavorarci insieme, mi annoio».
Tra i tanti progetti, che portò avanti in campo umanitario e sociale, ricordiamo ‘Un convitto per le ragazze Tuareg’, rivolto alle studentesse africane, con il principale obiettivo di creare una classe di giovani donne capaci di svolgere un ruolo da leader nella vita scientifica e sociale del proprio Paese.
Il 1°agosto 2001 venne nominata senatore a vita per i suoi meriti scientifici e sociali; morì nella sua casa romana il 30 dicembre 2012.
Rita Levi Montalcini fu tra quelle donne scienziate che, per raggiungere i propri obiettivi, dovettero lottare contro le discriminazioni di genere, dentro e fuori casa. Pensate a Clara Immerwahr Haber che, se da una parte venne stimolata dal padre a inseguire i propri interessi, dall’altra venne frenata dall’ambizione e dall’egocentrismo del marito, Fritz Haber. Oppure a Rosalind Franklin, i cui meriti vennero a lungo oscurati dai due colleghi Crick e Watson che nel 1962 vinsero il premio Nobel utilizzando – per la loro ricerca – i dati da lei ottenuti.
Oggi, una volta di più, celebriamo le scoperte e i meriti di quelle donne che hanno lottato per vedere riconosciuti i propri meriti e il loro desiderio di conoscenza.