Il fluoro come additivo ai normali dentifrici rappresentò l’ultimo dei tanti cambiamenti di un prodotto in uso fin dall’antichità, anche se con ricette che oggi ci farebbero inorridire. Gli antichi egizi usavano una pasta di sale, pepe, foglie di menta e fiori d’iris, mentre i romani mischiavano sale, aceto, miele e schegge di vetro, una soluzione che sostituì un miscela a base di urina, dalle note proprietà antinfiammatorie.
I secoli passarono e il fluoro fece la sua comparsa per la prima volta nel 1914, ma venne bocciato dall’American Dental Association (Ada). Gli esperti non si diedero per vinti e avviarono nuovi programmi di ricerca che nel 1950 cominciarono a dare i primi frutti: nel 1955 fece il suo ingresso sul mercato il primo dentifricio al fluoruro clinicamente testato e cinque anni dopo, il 1 agosto del 1960, l’Ada si dovette ricredere, ammettendo che la pasta dentifricia con l’aggiunta di fluoro «potesse essere di grande utilità per combattere l’insorgenza di carie».
Il fluoro (dal latino fluor, “flusso”), nono elemento della Tavola periodica, è un oligoelemento fondamentale per la salute dei denti e per la prevenzione della carie, perché rinforza lo smalto dentale legandosi a diversi ioni di calcio che compongono la superficie del dente, bloccando la formazione della placca batterica.
Fu scoperto nel 1771 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele e isolato nel 1886 dal chimico francese Henri Moissan.
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