La chimica è...

Astrochimica

Marte, il mistero del Pianeta Rosso

26 Maggio 2025

Da secoli lo chiamiamo così: il Pianeta Rosso. Ma perché Marte è…rosso? Le immagini stranianti che riceviamo dalle sonde e dai rover, come Perseverance della NASA, ci mostrano distese desertiche tinte di un rosso acceso e un cielo che tende all’ocra. Questo colore non è un vezzo estetico: racconta, anzi, la storia chimica e atmosferica di un intero pianeta.


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Un cielo polveroso

Cominciamo dallo sguardo verso l’alto: il cielo marziano. Non è azzurro come il nostro, ma ha sfumature giallo-rosate, a volte perfino aranciate. È un fenomeno dovuto a un tipo particolare di diffusione della luce, chiamato scattering di Mie, causato dalle numerose polveri sospese nell’atmosfera. Diversamente dalla Terra, dove lo scattering di Rayleigh – provocato da molecole di gas – diffonde meglio la luce blu, su Marte le particelle di polvere, più grandi della lunghezza d’onda della luce, riflettono soprattutto le tonalità calde. Il risultato? Un cielo che sembra al tramonto… tutto il giorno.

 

Sì, è vero, anche sulla Terra capita che il cielo si tinga di tonalità vermiglie, ne abbiamo già parlato qui!

Il colore della ruggine

Il suolo marziano è pieno di ossido di ferro, lo stesso composto che dà alla ruggine e al sangue umano il loro colore. Ma com’è finito tutto quel ferro sulla superficie? E, soprattutto, perché è arrugginito?

Torniamo indietro a 4,5 miliardi di anni fa: il Sistema Solare è in piena formazione e Marte, più piccolo della Terra e con una gravità più leggera, non riesce a “ripulirsi” del tutto. Il ferro invece di affondare completamente nel suo nucleo (come successo alla Terra), rimane intrappolato anche nella crosta e nel mantello. È anche per questo “peccato originale” che oggi il Pianeta presenta il suo caratteristico colore rosso.

 

Nel corso di miliardi di anni, il ferro esposto si è ossidato. Inizialmente si pensava che questo processo fosse dovuto ad antiche piogge acide o alla fotolisi dell’anidride carbonica (cioé la decomposizione della CO₂ da parte della luce solare), che avrebbe prodotto ossidanti come perossido di idrogeno e ozono. Altri studi suggerivano invece che siano state le tempeste di polvere a frantumare i cristalli di quarzo, esponendo superfici reattive al contatto con l’ossigeno atmosferico.

C’è una nuova ipotesi!

Nel corso di miliardi di anni, questo materiale arrugginito – l’ossido di ferro – si è scomposto in polvere e si è sparso in tutto il pianeta grazie ai venti, un processo che continua ancora oggi. Tuttavia, una nuova analisi combinata con tecniche di laboratorio più raffinate ha portato a una scoperta sorprendente: il colore rosso di Marte corrisponde meglio agli ossidi di ferro idrati, in particolare alla ferridrite.

 

La ferridrite è un minerale che si forma in presenza di acqua fredda, il che significa che Marte si è “arrugginito” quando aveva ancora acqua liquida sulla superficie.

 

“Stavamo cercando di replicare la polvere marziana in laboratorio usando diversi tipi di ossido di ferro. Abbiamo scoperto che la ferridrite mescolata al basalto si adatta meglio ai minerali osservati dalle sonde”, ha spiegato Adomas Valantinas, post-dottorando alla Brown University. “Marte è ancora il Pianeta Rosso. È solo che la nostra comprensione del perché Marte sia rosso è cambiata. La principale implicazione è che, poiché la ferridrite poteva formarsi solo quando l’acqua era presente sulla superficie, Marte si è arrugginito prima di quanto pensassimo. Inoltre, la ferriidrite rimane stabile nelle attuali condizioni su Marte.”

Anche il suono ha qualcosa da dire

E mentre osserviamo la superficie marziana, possiamo anche ascoltarla. Grazie ai microfoni di Perseverance, oggi possiamo sentire i suoni di Marte: il soffio dei venti, il crepitio dei meccanismi del rover, persino il rumore prodotto dal laser dello strumento SuperCam quando colpisce le rocce. È un ambiente silenzioso, quasi ovattato, ma è un altro tassello che ci avvicina a questo mondo così distante.

 

Per ascoltare il vento su Marte clicca qui!

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FONTI:

ESA

Nature

NASA