La chimica è...

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“La parola degli esperti” e altri problemi di fiducia

21 Ottobre 2024

Immaginate questa situazione. Di recente avete iniziato a seguire un nuovo corso universitario. Il primo giorno, il docente si presenta con un abbigliamento molto distinto: un completo blu scuro, una camicia bianca e un’elegantissima cravatta a righe. Dalla sua 24 ore, estrae un computer ultimo modello e si presenta alla classe: sembra un tipo veramente in gamba. Istintivamente, tirate fuori il vostro quaderno degli appunti perché, tutto a un tratto, avete la sensazione di stare per assistere a una delle migliori lezioni della vostra vita. Tuttavia, poco dopo, siete costretti a ricredervi: il docente non è così bravo a spiegare, perde sempre il filo del discorso, al punto che è difficile prendere appunti. Insomma, tutti quei fronzoli vi avevano tratto in inganno… Ma per la nostra mente è davvero difficile credere che l’abito non faccia il monaco.


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Quello appena descritto è un fenomeno che prende il nome di Effetto Alone, ossia la tendenza a generalizzare il giudizio positivo che abbiamo di qualcosa o di qualcuno (es. il suo aspetto estetico) ad altre dimensioni non correlate (es. la qualità della sua didattica). Il primo a indagare il fenomeno fu Edward Lee Thorndike, psicologo statunitense noto per i suoi studi sull’apprendimento. In uno studio del 1920, Thorndike analizzò i giudizi di alcuni ufficiali dell’esercito in merito ai loro cadetti e scoprì che i voti che davano alle loro abilità tecniche (es. capacità di pilotare aerei), alla loro personalità (es. lealtà, determinazione), alle loro caratteristiche fisiche (es. statura, energia, gradevolezza della voce) e così via, erano distorti da un “errore costante”: erano tutti sistematicamente correlati. Era come se il giudizio degli officiali, ad esempio, sulle abilità tecniche dei loro cadetti fosse condizionato dall’idea positiva generale che avevano di loro: un po’ come se essere un buon pilota potesse dipendere dall’avere una voce gradevole!

 

Ma perché questo meccanismo è così importante per la formazione di false credenze? Sostituite per un secondo all’esempio di prima la figura del professore con quella di un Premio Nobel. Ora ponete caso che questa persona, dopo aver vinto il Premio, sotto le luci di molti riflettori mediatici, abbia iniziato ad esporsi su questioni di altra natura, dicendo per esempio che il virus dell’HIV non esiste, o che i vaccini causano l’autismo o che il cambiamento climatico è solo una farsa – per inciso, se questi esempi vi sembrano esagerati, fareste meglio a ricredervi. Questi, infatti, sono solo alcuni casi di “Nobelite”, ossia situazioni in cui vincitori di Premi Nobel hanno supportato posizioni controverse e pseudo-scientifiche su temi al di fuori del loro ambito di conoscenze – trovate una bella lista di Skeptic Inquirer qui.

 

Probabilmente, se avete già un’idea chiara di queste tematiche, è difficile che le parole di questo Premio Nobel vi facciano tentennare, ma se non avete competenze sulla materia o se siete anche solo un po’ scettici sulla questione, sentire un Premio Nobel che sentenzia su questa e quell’altra cosa fa un certo effetto. Insomma, se ha vinto un Nobel, non sarà di certo l’ultimo dei fessi.  È così che un preciso caso di Effetto Alone può contribuire alla diffusione di false credenze.

 

A dare sostanza al nostro giudizio c’è, quindi, l’aura di autorevolezza che il Premio Nobel emana proprio per la sua eminenza. Il Bias di Autorità descrive la nostra tendenza a mostrare un irragionevole grado di fiducia verso le opinioni di una figura che percepiamo come autoritaria (e autorevole). Gli studi su questo fenomeno vengono da una tradizione estremamente importante che vedono nella figura di Stanley Milgram, famoso psicologo statunitense, il suo iniziatore con alcuni tra gli esperimenti più iconici non solamente nell’ambito delle scienze sociali, ma dell’intera letteratura scientifica. Negli esperimenti condotti venne dimostrato come le persone potessero essere facilmente condizionate dalla presenza di una figura autoritaria, comportandosi in modo inedito e commettendo a volte anche azioni immorali o illecite, soprattutto se poi la responsabilità di questi stessi atti poteva essere scaricata sulle spalle di quell’autorità. Nello specifico, però, quando parliamo di Bias di Autorevolezza[1], il focus non è tanto incentrato su come cambia il nostro comportamento in presenza di una persona autoritaria, quanto più su come cambia il nostro giudizio di veridicità verso le parole di quella stessa persona.

 

Come al solito, quando si parla di bias cognitivi non ci sono colpe. Questa nostra sospensione di giudizio, in realtà, sembra avvenire a buona ragione: chi meglio di un esperto può esprimersi su questa e quella questione? Accade, dunque, che istintivamente riponiamo assoluta fiducia in quello che dice l’autorità perché noi, dal nostro canto, non conosciamo l’argomento, magari non abbiamo le competenze tecniche per comprenderlo al meglio e, soprattutto, come sempre non abbiamo tempo a disposizione per informarci in maniera autonoma. In questo modo, ci si affida per il nostro benessere psico-fisico, per i nostri risparmi, per le nostre relazioni sociali a personaggi, più che a persone autoritarie, che finiscono, quando va bene per farci perdere tempo, quando va meno bene soldi, quando va male la salute.

 

Attorno a queste figure autorevoli, poi, capita che spesso si formino camere d’eco che aggiungono complessità al tutto. Si tratta di ambienti in cui le persone sono ripetutamente esposte alle medesime informazioni che rinforzano le proprie credenze. Spesso capita di accorgersi di trovarsi in una camera d’eco quando si esce dalla propria e, per sbaglio, si apre quella di una persona accanto. Vi sarà, infatti, sicuramente capitato di imbattervi un bel giorno in un gruppo di persone, siano esse fisiche che virtuali, con un pensiero molto distante dal vostro, pensiero che voi credevate fosse condiviso da tutti (il cosiddetto Effetto Falso Consenso). Questa sorta di eco infinita di opinioni può verificarsi anche e soprattutto quando all’interno di una camera d’eco parla proprio una persona con una voce più alta: l’autorità. Intorno ad essa, si raccolgono persone che negli anni formano una cerchia di fedeli, fomentati dal fatto che la propria opinione non solo non venga mai messa in discussione, anzi, viene corroborata dal pensiero del loro guru, al punto da appiattire il proprio sentire a quello di questa stessa figura. La polarizzazione delle opinioni, come si immagina, diventa il punto di partenza di fenomeni come le camere d’eco, mentre, l’arrivo è la disinformazione.[2]

 

Scommettiamo che adesso starete pensando a quelle figure di cui più vi fidate e state cercando di capire se potete continuare a farlo. Probabilmente nessuno di voi avrebbe creduto alle uscite infelici dei Premi Nobel che citavamo prima, ma che dire degli esperti che vediamo in TV, dei guru che intasano le home dei nostri social e forse, chissà… di noi stessi divulgatori? L’unica arma che la società ha a disposizione contro fenomeni di questo tipo è l’esercizio del pensiero, disattivando il “pilota automatico” e iniziando a riflettere in maniera più autonoma. Perché se è vero che, in mancanza di tempo e di energie, è istintivo e inevitabile avere dei punti di riferimento, è anche vero che dobbiamo e, per fortuna, possiamo affidarci a un metodo. La parola di un esperto, un giornalista scientifico o un divulgatore non è garantita dalla sua autorevolezza o dalla sua fama, ma solamente dalla sua adesione a un sistema corale peer-reviewed, per cui le informazioni che riporta sono prodotte da una comunità scientifica che è incentivata a vagliare la veridicità dei fatti.

 

Lo sappiamo, è sicuramente più facile a dirsi che a farsi, ma noi ci prestiamo a questo esperimento: soppesate quello che diciamo, indagate sulle fonti dalle quali ci informiamo e, se volete, mettete pure in discussione tutto quello che abbiamo detto finora.

[1] Ops, avrete notato che abbiamo prima parlato di “Bias di Autorità” e ora parliamo di “Bias di Autorevolezza”… In effetti, in inglese si parla di “authority”, ma abbiamo deciso di disambiguare la traduzione in italiano in “autorità” quando si parla di un rapporto subalterno (es. il capo e i dipendenti) e di “autorevolezza” quando si parla di una figura eminente (es. un esperto).

[2] Ci teniamo a specificare che la polarizzazione non riguarda, però, soltanto la disinformazione. Anche voi che leggete questo magazine – che combatte la disinformazione – troverete spesso e volentieri conferma di ciò che già credete nelle parole di divulgatori come noi. Succede, dunque, che le vostre credenze si rinforzano proprio in virtù dell’autorevolezza a cui accennavamo sopra – ma questo non implica che siano opinioni necessariamente sbagliate.