Dal latino “gelatus”, participio perfetto del verbo “gelo”, che significa appunto congelare, rendere solido, la gelatina fu scoperta cuocendo in acqua pezzi di carne e ossa per lungo tempo. Il liquido risultante, se concentrato e raffreddato, può ispessirsi a tal punto da produrre un materiale, la gelatina, in grado di mantenere imprigionata l’acqua e gli aromi.
Non si conosce con certezza quando e da chi venne scoperta la gelatina, ma divenne nel tempo una tecnologia preziosa, dopo essere stata a lungo considerata un bene di lusso, destinata alle tavole di re e aristocratici.
Nel linguaggio comune confondiamo spesso il concetto di gelatina con quello di gel, ritenendoli sinonimi. Dal punto di vista chimico-fisico un gel è un materiale che non è né solido, né liquido, ma ‘qualcosa che sta nel mezzo’. I chimici lo definiscono come un sistema colloidale, ossia un materiale in cui coesistono due fasi, di cui una dispersa nell’altra. Nel caso del gel, il liquido inglobato, che tipicamente è l’acqua – da cui idro-geli – “abita” e rigonfia un’impalcatura solida, che invece può essere costituita da diversi materiali, naturali o di sintesi.
La gelatina – una di queste impalcature – è di origine naturale e viene ottenuta per degradazione del collagene, componente principale di pelle e ossa, che rappresenta il 25% del totale delle proteine contenute in un qualsiasi mammifero. Se lo andiamo a riscaldare in particolari condizioni, il collagene estratto dai tessuti animali – tipicamente di bovini e di suini ma anche di pesce – perde la sua robusta e complessa struttura, trasformandosi in un’altra proteina, detta appunto gelatina.
Quando riscaldata a una temperatura maggiore di quella di fusione, la gelatina ritorna liquida e libera acqua, mentre raffreddandosi ritorna a quello stato intermedio con cui riusciamo ad ottenere ottimi budini e colorati aspic.
Dalle cucine ai laboratori di ricerca il passo è breve e, negli ultimi anni, molti sono stati gli sforzi per progettare materiali che, prendendo ispirazione dalla natura, potessero presentare le medesime proprietà da implementare per usi biomedici quali guarigione delle ferite, veicolazione di farmaci e cellule, trattamento del cancro, bioelettronica, fino alla rigenerazione tissutale.
Tra i diversi materiali biomimetici, gli idrogeli sono sicuramente tra i più promettenti e i più versatili e oltre a quelli di origine naturale, come il collagene, l’alginato, il chitosano, la Food and Drug Administration ha approvato anche l’uso di polimeri di sintesi quali polietilen-glicole, polietilen-ossido, il Pluronic, polivinil-alcol, l’acido polilattico, l’acido poliglicolico e molti altri.
Giocando con le catene polimeriche e con i riempitivi, è possibile progettare e realizzare l’idrogelo che più risponde alle nostre esigenze in termini di rigidità, estensibilità, adesività, auto-riparazione, attività antimicrobica, biodegradabilità. Per questo è importante sottolineare come le proprietà meccaniche e la microarchitettura dell’idrogel, determinate dalla sua composizione chimica, influenzino l’adesione delle cellule, la loro proliferazione e differenziazione.
Tra i possibili sistemi sviluppati, gli idrogeli iniettabili sono – grazie alle loro proprietà – i candidati ottimali per le procedure mininvasive in vivo. Un idrogelo, infatti, deve essere liquido sia prima che durante l’iniezione, e gelificare rapidamente subito dopo, formando un materiale morbido, sufficientemente consistente ed elastico.
Gli idrogeli vengono utilizzati nell’endoscopia interventistica per facilitare la resezione dei tumori della mucosa. Quando le lesioni neoplastiche si trovano in organi che possono essere facilmente danneggiati dalla perforazione – come lo stomaco, l’intestino e l’esofago – è necessario formare un cuscinetto fluido sottomucoso (SFC) per sollevare, durante la resezione delle neoplasie, il tumore dal muscolo sottostante. Tale procedura è chiamata dissezione sottomucosa endoscopica (ESD).
Per la loro bassa viscosità in forma liquida, gli idrogeli vengono facilmente iniettati nel sito di interesse e, sfruttando i processi di gelificazione innescati dalla temperatura corporea o dall’interazione con alcune molecole, solidificano in pochi minuti, permettendo così la formazione del cuscinetto utile al chirurgo per la resezione del tumore.
Questo nuovo materiale può fornire, quindi, una soluzione alle limitazioni dell’ESD e mostra come la progettazione razionale di idrogeli ibridi biocompatibili e iniettabili, con proprietà regolabili, giocherà probabilmente un ruolo cruciale nel ridurre l’invasività e nel migliorare l’esito degli interventi clinici e chirurgici.
Fonte:
“Design of Nanocomposite Injectable Hydrogels for Minimally Invasive Surgery” di Etienne Piantanida, Giuseppe Alonci, Alessandro Bertucci, and Luisa De Cola, Acc. Chem. Res. 2019, 52, 2101−2112
Molte grazie alla Professoressa associata di Chimica Generale e Inorganica Monica Panigati, Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano, che ci ha fornito il materiale per questo articolo. Da circa quindici anni si occupa della sintesi e della caratterizzazione di complessi polinucleari di Re(I) e di Mn(I) per applicazioni in dispositivi optoelettronici.